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Questa sorta di manuale sul Fantastico, fatto più di domande che di risposte, di interrogativi che di certezze, non è certo il primo contributo di Romolo Runcini alla ri-definizione e alla ri-costruzione dell’universo di discorso che ruota intorno al Fantastico e alle sue manifestazioni letterarie. Vale la pena di ricordare il ciclo saggistico da lui dedicato alla storia e alla teorica del romanzo popolare (La paura e l’immaginario sociale nella letteratura. I. Il Gothic Romance, Napoli, Liguori, 19952 ; La paura e l’immaginario sociale nella letteratura. II. Il Roman du crime, Napoli, Liguori, 2002; Il Fantastico in arte e letteratura dal Realismo al Simbolismo, Napoli, La Città del Sole, 2006) di cui questo libro breve ma succoso come un limone ben maturato vorrebbe essere il primo pendant teorico – una sorta di programma di ricerca basato sulla sua rinnovata vitalità. Come è noto (anche se si tratta naturalmente di una definizione troppo generica per non necessitare di precisazioni multiple e laboriose), il Fantastico è un genere (artistico, letterario, filosofico e politico – come le utopie del passato dimostrano largamente) proiettato sull’ignoto. Esso attraversa in modi diversi ma con coerenza non approssimativa tutti i gradi di manifestazione della paura, passando dal consapevole stato di allarme legato all’auto-sopravvivenza (propria o della propria cerchia familiare) all’angoscia inesplicabile che viene dall’impossibile, dal Terrore per una morte possibile e senza scampo all’Orrore senza senso e senza nome. Accanto alla paura (provata con potenza più meno marcata), nasce nel lettore/spettatore ad esso soggetta un sentimento morbido e morboso, sottile eppure residuale e resistente – ciò che Freud ha stabilito essere il Perturbante (Unheimliches) – che va al di là di ogni forma di coerenza razionale e che investe la dimensione inconscia della coscienza : è il “piacere” della paura (come lo aveva già definito Hobbes attribuendoselo come sentimento primario della propria esistenza).
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