Il ritorno è sempre un enigma perché le ragioni della partenza sono meno vivide ma le radici alle quali si tenta di ricongiungersi irrimediabilmente strappate. Questo accade in particolare nelle pagine di Dany Laferrière, uno scrittore che ha sempre giocato con le ambiguità e le oscurità insite in ciò che si palesa nel modo più ovvio. Per quanto si leggano attentamente le sue pagine (specie quelle relative ad Haiti, il paese in cui è nato) si ha sempre la sensazione di non averne penetrato il mistero, perché Laferrière evoca, illustra, ma non spiega nulla. Originariamente, l'enigma è una sorta di oscuro indovinello costituito da immagini e allusioni, formulato generalmente in versi. Non a caso, L'enigma del ritorno costituisce anche uno sconfinamento nella poesia da parte dell'autore, sconfinamento atteso dai lettori affezionati che avevano sempre percepito nelle sue pagine un'icasticità e una cura stilistica che non potevano che preludere a uno slancio poetico. Le sue frasi brevissime, che raccontano realtà semplici, si trasformano in questo romanzo in una sorta di haiku: "Caldo insopportabile./ Un catino bianco pieno d'acqua / nella penombra della camera. / Tre manghi, accanto. / Li divoro, a torso nudo. / E dopo mi lavo il viso. / Avevo dimenticato il sapore del mango a mezzogiorno". Forse un paese come Haiti, quando chi ci è nato ci ha passato meno tempo, meno vita, di quella passata all'estero, si presta all'enigmaticità. In ogni caso, avvicinarsi a questo pezzo d'isola con una guida d'eccezione come Laferrière permette anche a chi non conosce il paese di superare le scarne notizie reperibili un po'ovunque (miseria, analfabetismo, catastrofi naturali) per avvicinarsi a un'Haiti più quotidiana, forse più vivibile, certamente non meno opaca. Nel romanzo, infatti, l'importante diviene il non detto, ciò che non è tangibile ma non per questo meno presente. Questo scrittore che riscrive continuamente i propri testi ha rivisitato molte sue pagine cambiandole radicalmente e organizzandole intorno ai temi del ritorno al paese natale e della morte del padre. Il criterio non cronologico con il quale le pagine si susseguono fa percepire, senza mai del tutto palesarla, una cultura complessa e multiforme, difficile da interpretare anche per chi vi è stato a lungo immerso. D'altra parte, sembra ci sia una contiguità tra i due temi principali di L'enigma del ritorno: "Se si torna al punto di partenza / vorrà dire / che il viaggio è terminato? / Non si muore finché ci si muove. / Ma quelli che non hanno mai varcato / il confine del proprio villaggio / aspettano il ritorno del viaggiatore / per valutare se valeva / la pena di partire". Tale contiguità è data dalla dimensione del tempo, ed è nei corridoi del tempo il vero viaggio che Laferrière permette di compiere ai suoi lettori. I personaggi importanti per la vita del narratore sono tutti presenti contemporaneamente, indipendentemente dal fatto che siano vivi o morti, indipendentemente dal fatto che i loro scambi con il protagonista avvengano al momento della narrazione o siano avvenuti molti anni prima. Forse proprio per questo Haiti si sovrappone a volte all'aldilà in questa e in altre opere di Laferrière. Forse proprio per questo il suo alter ego narrativo o i personaggi con cui esso si accompagna sono spesso identificati con Legba, il dio vudù del passaggio, passaggio da un paese all'altro e da un mondo all'altro, dall'aldiquà all'aldilà. Non è un caso che il nipote del protagonista Dany, che lo accompagna in alcune sue peregrinazioni, porti il suo stesso nome, quasi a costituire il ragazzo che il narratore stesso avrebbe potuto essere se non avesse abbandonato precipitosamente il paese. A chiosa di questa omonimia il narratore scrive infatti "chi va in esilio perde il posto". In questa prospettiva, la morte del padre è l'occasione del viaggio ad Haiti, ma forse no, forse il padre è morto anni prima e un viaggio ad Haiti risveglia ricordi di un altro viaggio. La nonna Da, con cui il protagonista ha passato gran parte dell'infanzia, non c'è più, ma non c'è nemmeno la sua tomba. Forse, anzi, un certo pomeriggio ozioso vissuto a poca distanza dalle sue sottane non si è ancora concluso. Questo è il mondo a cui accede il lettore grazie a L'enigma del ritorno, e questi sono gli enigmi che si troverà a risolvere assaporando immagini lussureggianti e situazioni equivoche narrate con il senso del ritmo e del dialogo che Laferrière ha ereditato dai nordamericani. La traduzione italiana di Giulia Castorani rende merito all'autore e finalmente gli offre uno spazio anche nel panorama letterario italiano, nell'ambito del quale Laferrière e il suo genio sono stati sinora purtroppo sottovalutati. Speriamo che, dopo quasi un decennio di false partenze e quiproquo editoriali ben poco enigmatici, anche l'opera di Laferrière possa entrare a far parte del patrimonio letterario del nostro paese, dato che del patrimonio universale già fa parte da tempo.
Paola Ghinelli
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