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scheda di Bazzanella, C., L'Indice 1998, n. 2
Nelle scuole elementari australiane l'italiano è, inaspettatamente per i non addetti, la seconda lingua con il maggior numero di scolari, e all'università la terza lingua per iscrizioni dopo il giapponese e il francese. D'altra parte, gli italiani stabilitisi in Australia nel trentennio 1947-76 (circa 280.000), insieme a figli e nipoti, costituiscono la seconda comunità etnica, dopo quella angloceltica. Quali ne sono le caratteristiche dal punto di vista del comportamento linguistico? Si può parlare di perdita linguistica? E in che termini? Il libro di Bettoni e Rubino risponde, con abbondanza di dati, accuratezza metodologica e rigore di analisi, a queste (e altre) domande, in una prospettiva di sociologia del linguaggio, analizzando quindi l'ambito d'uso di ciascuna lingua - italiano, inglese, dialetto - nella comunità italiana di Sydney, secondo parametri situazionali, demografici e culturali. Il testo si compone di sei capitoli: nel primo, introduttivo, si presenta la comunità italo-australiana e il quadro teorico dell'indagine (le tematiche dei "domini", della "diglossia", della sostituzione di una lingua con un'altra, o "language shift"). Nel secondo capitolo, di carattere metodologico, si introduce il questionario e la caratterizzazione sociodemografica e socioculturale del campione (202 persone). Nel terzo, di analisi, si documenta il comportamento linguistico dei soggetti nei diversi domini (come si parla in/con: famiglia, amici, estranei, negozianti, professionisti, prete, lavoro, scuola, se stessi), secondo l'argomento e il luogo della conversazione, ben valutando la complessità delle variabili coinvolte: età, sesso, istruzione, occupazione, contatti con media e libri italiani, frequenza dei viaggi in Italia, ecc. Nel quarto capitolo i dati analitici del questionario vengono discussi nelle loro tendenze generali: fondamentalmente la dialettofonia di partenza della comunità italo-australiana e l'attuale avanzato stadio del passaggio all'inglese; l'italiano è privilegiato nei domini "più pubblici, formali, etnici e regionalmente eterogenei delle transazioni, dell'estraneo e della chiesa". Viene inoltre confermata la doppia ipotesi iniziale: "(i) alla variazione nel livello di formalità del dominio corrisponde una diversa distribuzione delle lingue, (ii) la diglossia di partenza degli italiani si è mantenuta anche nel contesto d'emigrazione". Nel quinto capitolo si confrontano questi dati con quelli di altre lingue immigrate in Australia, con dialetto e italiano in Italia e all'estero. Nelle conclusioni (capitolo 6) si mettono in rilievo le forze favorevoli (la distanza geografica dell'Italia, l'invecchiamento della prima generazione e la mancanza di nuovi arrivi, la discreta affinità culturale con il gruppo dominante, la mobilità sociale) e sfavorevoli (consistenza e concentrazione della comunità italiana, alti livelli di endogamia, coesione famigliare alta) allo "shift" verso l'inglese, destinato a proseguire, soprattutto a svantaggio del dialetto. In appendice troviamo il testo completo del questionario e dettagliate tabelle dei dati.
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