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Fra i protagonisti della letteratura tedesca del dopoguerra, Enzensberger è l'autore più risolutamente infedele alle etichette. Per contro, non è affatto nuovo alle raccolte, come se, raggruppando in un libro, al termine di un ciclo creativo, i frutti delle proprie fatiche, riuscisse a compensare quel suo ormai noto vezzo di volersi continuamente aggiornare e superare. Nel solco, dunque, di Palaver o di Mediocrità e follia , si pongono questi Elisir della scienza che sono una crestomazia di prose e poesie, in parte inedite, in parte tratte dagli ultimi trent'anni di attività dell'autore, accomunate dal tema conduttore della scienza. A dispetto del soggetto, i testi qui raccolti si rivolgono a quel microsegmento di lettori che (ancora) coltiva le humanae litterae . Per costoro, il tema trattato non potrebbe essere più imbarazzante, visto che, dall'inizio alla fine del libro, il poeta Enzensberger mette gli idiots lettrés di fronte alla loro abissale ignoranza di secoli e secoli di conquiste matematiche e scientifiche. Ma di là da ciò, quello che si rivela ai nostri occhi è l'inarrestabile logorio della cultura (almeno come essa è stata definita a partire dal Rinascimento fino al secolo della Bildung , l'Ottocento), in cui sono coinvolte non solo le discipline umanistiche, impoverite e affidate a istituzioni umanità", ormai surclassato, la paladina delle "magnifiche sorti e progressive" è diventata la biologia, che, evolutasi in biotecnologia, ha scoperto come accordarsi con il capitalismo imperante e globale - e non più, come l'autore amava scrivere negli anni della rivolta studentesca, "tardo".
Sarà pure "malinconia di sinistra" (Benjamin), ma Enzensberger, a costo anche di apparire a tratti conservatore e moralista, non è tra coloro che si lasciano facilmente entusiasmare dalle promesse epocali che provengono da certi laboratori, certe cattedre o certe poltrone politiche. Nelle ballate qui riproposte - molte sono quelle tratte da Mausoleum -, il suo richiamo a reintegrare scienza e letteratura passa attraverso un volontario anacronismo, il tentativo di recuperare alla sfera della poesia voci, volti e quesiti che hanno fatto, nel bene e nel male, la storia delle conquiste scientifiche e tecnologiche degli ultimi secoli. Ma non ci si inganni: non è tanto il rinnovato binomio scienza e letteratura, come a voler ricostituire una conoscenza enciclopedica ormai irrecuperabile, quello che si ritrova in questo libro, quanto invece scienza attraverso la letteratura, che Enzensberger continua a vedere come filtro critico e prova di autenticità del reale.
Elisir della scienza, si diceva dunque; o meglio: al iksir , che in arabo sta per pietra filosofale: la forza di questo libro è nella perentorietà con cui l'autore punta il dito contro il ritorno dell'antica seduzione a cui la ragione occidentale, oggi come ieri, è sottoposta. Come gli elisir satanici attorno ai quali E.T.A. Hoffmann costruì il suo romanzo "gotico", Gli elisir del diavolo , al cui titolo Enzensberger palesemente si richiama, così le nuove pozioni alchemiche della scienza e della tecnologia promettono capacità taumaturgiche e salvifiche, mentre stordiscono il senso morale. Per di più, come gli elisir di Hoffmann, esse suscitano spettri, alter ego e sosia - ne è il miglior esempio la clonazione - con cui si evocano scenari dell'orrore in cui l'uomo si perde in disumani sdoppiamenti. Per quanto controverso, è questo l'Enzensberger che il pubblico italiano ha imparato a conoscere e amare, l'Enzensberger che continua a svolgere la missione che da sempre si è affidato, quella di Geremia che incita le coscienze sonnolente degli anonimi contemporanei, che spinge gli "agnelli" a non delegare ai "lupi", ossia a chi tiene le redini di questa "industria della coscienza", il compito di pensare.
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