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Elegie - Massimiano - copertina
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Elegie - Massimiano - copertina
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Descrizione


Poeta dotto, che riassume la tradizione elegiaca latina, che si colloca all'insegna di Boezio, e che ha assimilato la cultura biblica e cristiana al punto di utilizzarne espressioni e frasi, Massimiano «recepisce e interiorizza il cosiddetto "pessimismo greco", che trova la sua espressione nelle parole del satiro Sileno, secondo il quale la cosa migliore per l'uomo è non essere nato e, una volta nato, morire presto. Il non essere è l'unico modo per sottrarsi all'infelicità che appartiene all'essere, anche e soprattutto nella vecchiaia, l'esperienza più tragica della vita». Se le figure femminili - Licoride, Aquilina, Candida e la Graia puella - si situano al centro delle "Elegie", è "Senectus" la vera donna alla quale Massimiano soggiace come un amante alla propria Dama. Realista a oltranza, egli non rifugge dalle immagini più forti e più crude. Scrittore latino nell'Italia ostrogota del VI secolo, Massimiano è il poeta della senescenza: dell'uomo e dell'intero mondo antico.
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Dettagli

2020
19 maggio 2020
414 p., Rilegato
9788804724124

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adamantino82
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Elegie dalla fine del mondo antico (Claudia Gualdana) Non è una prova da poco essere poeta di talento e raffinata erudizione e vivere sul confine ultimo del mondo classico, con ostrogoti che scorrazzano su e giù per la penisola dettando legge e fondando regni. Massimiano poi era di famiglia aristocratica originaria della Tuscia, conosceva il greco, la tradizione giuridica romana, nonché i versi dei grandi che lo avevano preceduto. Probabilmente, non aveva una gran voglia di ridere di fronte allo spettacolo dell'ultimo scorcio della decadenza romana. Non si creda tuttavia che facesse del romitaggio selvatico od epicureo. Rivestì ruoli pubblici, fu ambasciatore, amico di filosofi, visse insomma al centro del suo tempo, nonostante non fosse dei migliori. Era nato intorno al 490 dopo Cristo, lo si dice cristiano, forse, o forse no. In fondo, poco importa. A importare invece è quest'ultimo tesoro pubblicato dalla Fondazione Valla, le Elegie di Massimiano appunto, nella pregevole traduzione di Emanuele Riccardo D'Amanti (Fondazione Valla-Mondadori, pagg. 414, euro 50), in cui di teologia c'è niente. Ci sono invece l'amore, la detestata vecchiaia, il distacco dai sentimenti, dalla vita stessa infine, e la summa della tradizione elegiaca romana. Non proprio in quest'ordine: in poesia temi e suggestioni si accavallano e ci vuole una mano gentile ma ferma per sciogliere i fili e portarci oltre il verso a scoprirne l'origine e la destinazione. Sta di fatto che il Nostro è l'ultimo grande elegiaco romano. Ossia, nel suo poetare troviamo gli echi ellenistici di Callimaco, i tormenti dei poeti nuovi, l'olimpica grandezza dei cantori augustei, soprattutto Publio Ovidio Nasone. Un po' come se avesse raccolto tutto quel che c'era di buono alle sue spalle per passare il testimone al medioevo, che infatti lo ha molto apprezzato, per quella curiosa translatio dei poeti erotici nella mistica cristiana che fa anche un po' sorridere. (da Il Giornale, 6 giugno 2020)

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