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Einstein e la sua generazione. Nascita e sviluppo di teorie scientifiche
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1990
454 p.
9788815028099

Voce della critica


recensione di Maiocchi, R., L'Indice 1991, n. 2

Sino a pochi anni fa un libro su Einstein che ci avesse informato delle opinioni del grande scienziato circa la carta igienica, e avesse preteso di attribuire a questa notizia un significato di qualche rilevanza per la comprensione dei caratteri dell'impresa scientifica, sarebbe stato visto con molto sospetto dagli studiosi di storia della scienza. Tuttavia in questi ultimi lustri il rigoglioso fiorire di studi di sociologia della scienza, sovente caratterizzati dal ricorso anche alla psicoanalisi, ha posto in evidenza come e quanto la nostra visione della scienza possa venire arricchita, precisata, illuminata da luce nuova adottando un approccio storico che privilegia la ricostruzione dell'ambiente sociopolitico e della psicologia degli scienziati, piuttosto che l'indagine sulle teorizzazioni matematiche e sul lavoro di laboratorio.
Lewis Samoel Feuer è una delle voci più significative di questo indirizzo sociopsicoanalitico, e la traduzione della raccolta dei suoi saggi più importanti mette a disposizione del lettore italiano un libro indubbiamente di rilievo.
L'intento fondamentale di Feuer è di dimostrare che nelle svolte decisive della storia della scienza il talento creativo assume generalmente l'aspetto del rivoluzionario generazionale e che nelle grandi controversie teoriche le divisioni tra scienziati sono avvenute principalmente lungo linee generazionali. Ogni scienziato rivoluzionario ha espresso nelle proprie teorizzazioni sovversive il mondo di emozioni, desideri, ansie, pulsioni ribellistiche proprie della sua generazione; per questo motivo le nuove idee sono destinate a suscitare l'opposizione di coloro che appartengono a generazioni precedenti, e non sono pertanto "isoemozionali" con la nuova teoria. Ogni rivoluzione scientifica "è sempre stata una rivoluzione contro gli dei, contro i padri" (p. 446).
La tesi che le rivoluzioni scientifiche sono il prodotto di ribellioni generazionali, da intendersi con l'ausilio della sociologia, per la ricostruzione del quadro generazionale, e della psicoanalisi, per comprendere il ribellismo del singolo scienziato, è illustrata da Feuer con la trattazione di un amplissimo numero di casi, che svariano dalla chimica alla biologia, dall'economia alla psicologia, ma indubbiamente è la fisica del Novecento a ricevere le maggiori attenzioni. Quattro grandi protagonisti della fisica contemporanea sono studiati: Einstein, Bohr, Heisenberg e de Broglie.
Decisivo influsso sulla formulazione della relatività einsteiniana ebbero l'ambiente di Zurigo, prima, quello di Berna, poi. Nelle due cittadine svizzere Einstein trovò un crogiolo di tendenze eversive, dal marxismo nelle sue innumerevoli varianti, all'anarchismo, al sionismo; strinse legami di duratura amicizia con Friedrich Adler, figura di spicco dell'austromarxismo e futuro uccisore del primo ministro austriaco Sturgkh, e con un gruppetto cosmopolita di intellettuali sbandati, assieme ai quali fondò un circolo, l'Akademie Olympia. Fu questo ambiente rivoluzionario a preparare "Einstein emozionalmente e intellettualmente a considerare i fatti fisici in un modo senza precedenti" (p. 104). Mentre Adler diresse il proprio ribellismo verso l'azione politica, Einstein sublimò le proprie "emozioni rivoluzionarie" nella fisica, elaborando la relatività, cioè una teoria che era "più in armonia con le emozioni del circolo studentesco rivoluzionario di Zurigo-Berna, che con le scuole scientifiche ufficiali" (p. 114).
Trasferendosi a Praga, nel 1911, Einstein entrò in contatto con un ambiente diverso, composto da mistici e da intellettuali ebrei impegnati nell'impresa di un rinascimento ebraico sotto l'influenza del misticismo filosofico di Martin Buber. Il "circolo di Praga" orientò la personalità di Einstein lungo nuove direzioni: contribuì a fargli cambiare moglie, ad avvicinarlo al misticismo e al sionismo, a passare da Hume a Spinoza e, 'last but nel least', a elaborare la relatività generale. Le disillusioni causate dalle vicende politiche del dopoguerra in Europa finiranno poi per trasformare definitivamente Einstein da ribelle generazionale a strenuo difensore del postulato deterministico contro gli assalti della fisica quantistica. Questa teoria fu costruita da scienziati che appartenevano a un'altra generazione e che ebbero storie personali ben differenti da quella einsteiniana.
Niels Bohr crebbe conversando di scienza e di filosofia con i membri del circolo Ekliptika, che provenivano tutti dall'élite politica, sociale e intellettuale danese ed erano tutti destinati a carriere di prestigio nelle istituzioni della pacifica e democratica Danimarca. Nel salotto paterno, poi, Bohr poteva ascoltare il grande storico della filosofia Harald Höffding parlare di Kierkegaard, e proprio in alcuni concetti filosofici fondamentali di quest'ultimo si deve trovare la fonte ispiratrice della teoria atomica che Bohr elaborò, non senza prima essersi liberato da ansie personali generate dal conflitto con l'autorità paterna. Dunque "la teoria dell'atomo di idrogeno di Bohr può essere vista come la proiezione della dialettica qualitativa di Kierkegaard" (p. 199), e il più tardo principio di complementarità come "un modo di pensiero che sembrava promettergli il superamento della tensione generazionale tra sé stesso e il padre" (p. 209).
Ancora diversa fu la "formazione emozionale" di Heisenberg e di de Broglie. Il primo visse momenti decisivi per la propria crescita combattendo a Monaco a fianco dei giovani nazionalisti del Weisse Ritter contro i socialisti: aveva nella mente l'immagine del padre ferito in guerra e alternava le lotte di strada con la lettura di Platone. Nella Monaco del dopoguerra in cui tutto pareva crollare e la società sprofondare nel caos fu concepita la prospettiva emozionale che sarà alla base del principio di indeterminazione di Heisenberg: "L'ambiente sociale di Monaco, con i governi che cambiavano di mano, le fazioni che si combattevano confusamente e le armi che venivano puntate in modo incerto e che colpivano a caso, rappresentò un protomodello sociologico dell'indeterminazione fisica - La società che si disintegrava come si disintegrava un atomo, con pallottole sparate in traiettorie incerte al pari degli elettroni" (p. 226).
Louis de Broglie, il fisico che introdusse il dualismo tra onda e corpuscolo, proveniva da una delle più nobili famiglie francesi (nella cui tradizione non si riconosceva pienamente); egli trovò nella fisica la via per conciliarsi con il fratello-padre Maurice, che aveva sostituito emozionalmente il genitore morto assai presto e che era un fisico affermato e nella filosofia di Bergson "qualcosa che unificava le sue aspirazioni emozionali" (p. 283). Egli trasfuse le letture bergsoniane nella meccanica ondulatoria e la teoria ondulatoria "divenne un isomorfema dei giovani intellettuali francesi in lotta contro la borghesia, l'atomismo e il materialismo repubblicano" (p. 291).
Le tesi di Feuer riassunte ed esposte in poche righe rischiano di apparire fantasiose, sembrano uno di quei "romanzi sociologici" che non di rado la sociologia della scienza produce. Ma la lettura del libro le rende corpose e le irrobustisce con una linfa che proviene da una straordinaria vastità di letture e da una meditata riflessione. Il testo è un fuoco d'artificio di notizie gustose, citazioni, nomi, osservazioni, spunti critici, che arrivano a formare affreschi d'ambienti o ritratti di singoli sempre originali e stimolanti.
Tuttavia a un libro che si regge su una base documentaria tanto imponente va rimproverata proprio una carenza di ordine bibliografico: l'assenza di lavori strettamente scientifici. Intendiamoci: è perfettamente lecito e utile scrivere libri che illustrano ambienti scientifici e psicologie di scienziati senza far riferimento alle ricerche scientifiche in senso stretto, ma quando si vuoi sostenere, come mi pare fuor di ogni dubbio voglia fare Feuer, che è possibile trovare un legame, addirittura un legame causale, pur se non meccanico e univoco, tra ambienti, psicologie e teorie, allora mi pare indispensabile trattare anche del versante della scienza che si trova espresso nelle seriose memorie consegnate agli annali. In mancanza di un'indagine sul lato propriamente teorico della scienza, ogni discorso sulla genesi sociologica e psicologica di esso appare monco e scarsamente comprensibile.
Cosi, ad esempio, chi abbia sempre cercato, come il sottoscritto, di capire l'antiatomismo di Ernst Mach, grande ispiratore di Einstein, riconducendolo alle vicende teoriche ottocentesche della psicofisica, della termodinamica e del darwinismo, può anche essere d'accordo, e divertirsi, nel leggere che per Mach "una realtà deatomizzata rappresentava una proiezione in cui il padre veniva evirato", che Mach "era un figlio che aveva proiettato nella teoria della fisica una delle forme più elementari e mitologiche di ribellione contro il padre" (p. 89), ma non può fare a meno di ritenere che questa spiegazione sia parziale e fuorviante, perché non considera il modo in cui l'antiatomismo machiano si incarna nella sua opera scientifica.
Il fatto è che Feuer nell'affrontare la questione della causazione sociopsicologica delle idee scientifiche sembra essersi posto un problema difficilmente risolubile per uno storico, che non può stendere sul divano i personaggi che vuol psicoanalizzare e deve ricorrere a indizi (sintomi?) molto labili, che a volte, forse spinto dalla disperazione, è costretto magari a manipolare in modo inaccettabile. Ad esempio, quando Feuer affronta un interrogativo vitale per la propria tesi, cioè se si possa o meno trovare un modo di pensare che sia l'espressione emozionale comune all'ambiente degli studenti rivoluzionari di Berna e Zurigo e alla relatività einsteiniana, si appoggia su "un 'indizio" (p. 107) che consiste nella predilezione di Einstein per lo scrittore Thorstein Veblen, sostenitore del relativismo storico. Il ragionamento che ne consegue appare totalmente arbitrario poiché, da quel che si sa, Einstein cominciò a leggere Veblen solo in America, su indicazione del nipote di Veblen, Oscar Veblen, suo collega a Princeton (come del resto ammette anche Feuer in una nota a p. 156), e dunque la sua "predilezione" non può avere alcun senso per chi voglia dir qualcosa sul periodo giovanile einsteiniano. Analogamente forzata appare l'analisi, in senso freudiano, che, Feuer compie di Niels Bohr, assumendo che uno dei personaggi di un libro molto amato da Bohr, "Avventura di uno studente danese" di Paul Möller, ci fornisca "una specie di radiografia del nucleo emozionale-intellettuale della psiche di Bohr" (p. 217), e attribuendo senz'altro allo stesso Bohr le angosce che si possono riscontrare nel personaggio letterario.
Mi pare che il libro di Feuer tragga grande giovamento da una lettura che tralasci quelle (poche) pagine in cui l'autore si sforza di trovare, costi i quel che costi, un legame tra le descrizioni sociopsicologiche e i risultati dello teorizzazione scientifica, e si concentri invece sulle sole descrizioni. Rimarrà allora un ottimo libro che ci fornisce un'immagine vivida, palpitante, fascinosa di un'impresa scientifica che tante storie puramente "interniste" hanno ridotto a un pallido fantasma senza molte attrattive.


recensione di Bergia, S., L'Indice 1991, n. 2

Ha scritto Einstein, che certo un po' se ne intendeva, che "non esiste alcun metodo induttivo che possa condurre ai principi fondamentali della fisica"; e anche che "il fondamento assiomatico della fisica teorica non discende dall'esperienza e deve al contrario essere creato liberamente". La prima affermazione appare inconfutabile sul piano logico, posto che si tratterebbe di inferire asserti di carattere universale da un insieme, non importa quanto ampio, di asserti particolari (i dati dell'esperienza). Per quanto riguarda la seconda, si possono citare, nella storia della fisica, casi conformi e casi non così conformi all'idea espressa da Einstein. In tema di relatività ristretta si può, per esempio, ricordare che Poincaré era pervenuto, indipendentemente, a una formulazione del principio di relatività con un procedimento di estrazione, ed astrazione, dall'insieme degli esperimenti che non erano stati in grado di rivelare il moto della terra rispetto all'ipotetico etere cosmico. D'altra parte, non c'è dubbio che l'idea espressa da Einstein sia modellata sulla prassi da lui effettivamente seguita nell'elaborazione delle teorie relativistiche, in particolare per quanto riguarda la relatività generale.
Ma a che cosa attinge, in questi casi, la mente umana per dar vita al libero atto di creazione di cui parla Einstein? Popper, e autori a lui vicini, hanno già liberalmente ammesso che essa possa ricorrere alla metafisica o addirittura ai miti. Kuhn, che come si sa, vede (o vedeva) la scienza procedere per salti tra paradigmi messi in crisi da anomalie e nuovi paradigmi, sui quali la comunità scientifica si sintonizzerebbe con un processo simile al riorientamento gestaltico, afferma, in questo senza dar prova di grande originalità, che nelle fasi di crisi riconosciuta, e dunque nel corso dell'edificazione del nuovo paradigma, gli scienziati si rivolgono alla filosofia. Una tradizione marciana che ha conosciuto, in particolare, una forte reviviscenza in Italia in i tempi recenti ha insistito sui condizionamenti che possono venire esercitati, attraverso una lunga catena di mediazioni, dal contesto produttivo e sociale Feuer, in questo suo libro-saggio, "libero dagli idiomi 'cristallizzati' del funzionalismo, del marxismo e del paradigmatismo" ci invita a considerare una forma particolare di influenza esercitata da un circolo ristretto, culturalmente omogeneo, che a sua volta filtra le sollecitazioni provenienti dall'ambiente inteso in senso più lato.
I casi che ci vengono proposti sono, fra gli altri, quello di Einstein, per quanto riguarda la gestazione e la genesi della relatività ristretta, e quelli di alcuni degli autori che hanno contribuito più significativamente allo sviluppo della meccanica quantistica (Bohr, de Broglie, Heisenberg). Per ciascuno di essi l'ambiente esterno viene localizzato in modo assai definito, nello spazio e nel tempo. Per Einstein, per esempio, si tratta della Zurigo degli ultimi anni del secolo, vista come "il crocevia dei movimenti rivoluzionari europei"; per Bohr, la Copenaghen degli inizi del secolo, che "aveva molto in comune con Zurigo", anche in quanto "il movimento socialista del paese... aveva una filosofia molto simile a quella del movimento socialista svizzero", per de Broglie, la Parigi del primo quarto del secolo, attraversata da correnti di pensiero riproponenti in sempre nuove forme lo storico conflitto fra 'rouge' e 'noir', nella quale si confrontavano, "divisi da un abisso di pregiudizio e di sfiducia", i giovani idealisti del Collège de France, che avevano Bergson come guida spirituale, e i positivisti militanti della Sorbona; per Heisenberg, la Monaco del 1919, sconvolta dalle lotte tra i soviet e le formazioni, loro avverse, nella quale nasceva l'inquietudine di quella parte della gioventù tedesca che avrebbe poi scelto il nazismo.
In ciascuno di questi mondi, viene poi individuato un più definito microcosmo, una cerchia più ristretta e omogenea, capace di filtrare, omogeneizzare e finalizzare gli influssi provenienti dall'ambiente più vasto della città e della nazione: l'Akademie Olympia, il gruppo ristretto di Einstein e dei suoi amici nel periodo bernese, immediatamente successivo a quello zurighese e visto come un completamento del primo; il circolo Ekliptika a Copenaghen, il circolo Weisse Ritter a Monaco. E i filosofi ai quali maggiormente in quei circoli ci si rivolgeva: Mach per Einstein e i suoi, Höffding e Kierkegaard per Bohr, Platone per Heisenberg.
Si suggerisce allora una sorta di schema di questo tipo: lo scienziato in fieri respira lo 'Zeitgeist' nella versione proposta dall'ambiente, o nella versione di parte elaborata da una fazione che in quell'ambiente opera, e filtrata dal circolo, ed è pronto a riversare atteggiamenti, pregiudizi, idiosincrasie e inclinazioni assorbiti nella prassi della ricerca, in cui rivelerà tratti isoemozionali con il clima in cui si è formato (un'idea è isoemozionale con un'altra, nella definizione di Feuer, quando è l'espressione, il riflesso, il risultato o la proiezione della stessa emozione).
Cosi Einstein, il "rivoluzionario generazionale", trasferisce lo spirito rivoluzionario dei circoli zurighesi e l'iconoclastia dell'Akademie Olympia nel suo articolo sulla relatività ristretta ("un documento di ribellione generazionale"); la serenità della vita danese, plasmata dalle riforme democratiche, fornisce il terreno su cui si sviluppa la visione innovatrice di Bohr, "il mite rivoluzionario", sulla quale hanno influito in modo determinante i punti di vista espressi da Kierkegaard e da Höffding, secondo i quali non è possibile nessun sistema onnicomprensivo e onniclassificante; Louis de Broglie, il "rivoluzionario aristocratico", cresce "in un'atmosfera intensamente politica, impregnata di lealtà a un'epoca passata", ma la sua formazione risente della filosofia di Bergson, manifesto del gruppo del Collège de France; la rivolta di Heisenberg contro il determinismo matura nella società tedesca che "si disintegra come si disintegrava un atomo".
L'idea è interessante, e le argomentazioni di Feuer sono spesso suggestive. Ma il rischio della forzatura è sempre presente. Il concetto di isoemozionalità fra un atteggiamento politico nella società e la scelta di uno strumento nella ricerca, per esempio, non implica una rigida determinazione del secondo da parte del primo ("l'unicità dell'individuo permane nella sua resistenza al determinismo sociologico"), e Feuer vorrebbe soltanto dirci che "la scelta fra concetti alternativi contiene un ingrediente sociologico che va il più possibile spiegato in maniera sociologica"; per di più, "un motivo extralogico può controllare la scelta di un'ipotesi preferita, ma non impedirà di scegliere secondo il peso delle prove". Con queste premesse, siamo disposti ad accettare, per esempio, l'asserzione che "il circolo culturale rivoluzionario di Zurigo-Berna aveva preparato Einstein emozionalmente e intellettualmente a considerare i fatti fisici in un modo senza precedenti", e poco importa se essa basterebbe a scatenare il sarcasmo dei difensori del dogma che vuole la scienza un'impresa rigorosamente razionale e neutrale rispetto a qualsivoglia contesto. Ma perché allora domandarsi "com'erano correlate in senso causale le idee politico-filosofiche del circolo culturale studentesco di Zurigo-Berna alle audaci argomentazioni che confluirono nella formulazione della teoria della relatività ristretta"? Perché porsi l'obiettivo di "rintracciare la specifica linea causale fra la posizione politico-filosofica di un determinato circolo culturale e una conquista nella teoria della fisica"? Perché intitolare un capitolo "Le radici sociali della teoria della relatività di Einstein*? Possiamo ancora accettare l'asserzione che "la prospettiva emozionale che sarà alla base del principio d'indeterminazione di Heisenberg" fu concepita in un "mondo d'indeterminazione sociologica, in mezzo al crollo dei sistemi e dei valori sociali", ma che senso ha asserire che "sarebbe... più attinente ai fatti affermare che senza la Monaco del 1919, Werner Heisenberg non avrebbe concepito il principio d'indeterminazione" ?
Né il rischio di forzatura nel senso di una lettura in termini causalistici della isoemozionalità è l'unico. Un'analogia terminologica nasconde insidie pericolose: Feuer, per esempio, è ben conscio della differenza fra relatività e relativismo, e ci ricorda appropriatamente che già Sommerfeld aveva sottolineato come la denominazione della teoria einsteiniana fosse stata "largamente fraintesa e non molto felice". Non sfugge però alla tentazione di sottolineare che "i membri del circolo machiano di Zurigo... erano relativisti nella storia, nell'economia e nella fisica". E arriva a dirci: "Il modello kierkegaardiano dei salti discontinui divenne parte della più profonda posizione emozionale-intellettuale di Niels Bohr. Nel suo 'stato stazionario', l'atomo sarà in seguito come uno degli stadi dell'esistenza di Kierkegaard. E il salto degli elettroni da un'orbita all'altra è paragonabile alle transizioni brusche e inspiegabili dell'io"; e (che Dio lo perdoni): "...una linea isoemozionale univa l'indeterminazione di Heisenberg al grande sforzo dadaista".
Infine, un rischio di forzatura deriva anche dal voler leggere come rivoluzionarie alcune formulazioni teoriche che forse tanto rivoluzionarie non sono state; che, per di più, non sono state vissute come tali dall'autore, cioè proprio da colui che, salvo errore, dovrebbe essere il più coinvolto emozionalmente nell'attacco diretto "contro le premesse basilari della fisica classica". Mi riferisco, in particolare, alla relatività ristretta. Feuer ricorda la lettera che Einstein indirizzò all'amico Habicht, nella quale lo informava fra l'altro, dei suoi lavori sull'elettrodinamica dei corpi in moto (la relatività ristretta) e sui quanti di luce; e cita la frase con la quale Einstein qualifica il secondo lavoro come "molto rivoluzionario", dimenticando di fare altrettanto per il primo. Ma, curiosamente, non fa tesoro dell'indicazione preziosa che se ne può trarre, del resto confermata da parecchi altri indizi analizzati da vari autori, secondo la quale Einstein non pensava il suo lavoro sull'elettrodinamica, dunque la relatività ristretta, come un rivoluzionamento, ma piuttosto come un completamento della teoria classica.
Forzature a parte, la ricostruzione degli ambienti è efficace, molte considerazioni sono stimolanti quando non addirittura illuminanti. Di più, è mia impressione che certe riflessioni di carattere generale dovrebbero essere tenute in attenta considerazione nelle discussioni sulle modalità dei processi di formazione della conoscenza scientifica. Si veda, per esempio, la discussione sull'inadeguatezza della metafora della rivoluzione per descrivere l'avvento di nuove teorie nella fisica; o l'osservazione che "l'aspetto notevole della scienza come istituzione sociale è che trasforma le energie della ribellione generazionale in una direzione costituzionale, intergenerazionale"; o l'altra secondo la quale "lo stesso avvenimento molto importante può essere considerato rivoluzionario dal punto di vista personale dello scienziato interessato e altresì considerato latente, inevitabile e deducibile dallo stato preesistente della scienza da un punto di vista sociale, interpersonale"; o ancora la conclusione che "la crescita cumulativa della scienza procede attraverso ondate alternative di emozioni generazionali".

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