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Nella presentazione del libro si afferma che "la filosofia della scienza ha fatto tesoro del pensiero scientifico di Einstein per rimuovere o abbandonare i modelli gnoseologici tradizionali, di impostazione positivistica e neokantiana". Mi sembra si tratti di un equivoco, perché la "relatività" di Einstein non ha nulla a che fare con il "relativismo" filosofico, e solo un seducente ma fuorviante gioco di parole può far confondere le due cose. Lo stesso termine "teoria della relatività" fu introdotto da Planck, non da Einstein, che avrebbe preferito il termine "teoria delle invarianti", termine che avrebbe permesso di evitare molti equivoci e molti fraintendimenti. Il problema è però che i filosofi hanno frainteso la stessa essenza della teoria della relatività. Einstein ha cercato più volte di spiegare la differenza tra la relatività fisica e la relatività volgarizzata, chiarendo che "per descrivere uno stato dei fatti si impiega, in genere, un solo sistema di coordinate, e non sono necessari più sistemi di coordinate per rappresentarlo". E’ sbagliato invocare la relatività di Einstein per sostenere il relativismo, per dire che ogni contesto, punto di vista, narratore, frammento di intreccio o elemento tematico si equivalgano. Semmai, la fisica del Novecento ci ha insegnato il contrario: cioè che in certe condizioni possiamo trarre da riferimenti diversi, o dal riferimento originato in un contesto ben preciso, tutte le leggi della fisica, ognuna valida per ogni contesto, quindi immutabile, indipendente dalla particolare situazione. E' per questo che, paragonata alla fisica classica, la relatività moderna è semplice, universale e assoluta. La tesi che afferma "tutto è relativo" è profondamente errata: infatti il punto è che dal flusso perenne noi possiamo ricavare l'esatto contrario: "Qualcosa è immutabile".
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