Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Dati e Statistiche
Wishlist Salvato in 0 liste dei desideri
Einstein e la cultura scientifica del XX secolo
Disponibilità immediata
39,00 €
39,00 €
Disp. immediata
Chiudi
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
Carù Libreria Dischi
39,00 € + 6,90 € Spedizione
disponibilità immediata disponibilità immediata
Info
Usato Usato - In buone condizioni
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
Carù Libreria Dischi
39,00 € + 6,90 € Spedizione
disponibilità immediata disponibilità immediata
Info
Usato Usato - In buone condizioni
Chiudi

Tutti i formati ed edizioni

Chiudi
Chiudi

Promo attive (0)

Dettagli

1991
308 p.
9788815033123

Voce della critica


recensione di Maiocchi, R., L'Indice 1992, n.11

"Einstein mi disse una volta in laboratorio: "Tu fai esperimenti e io formulo teorie. Sai dov'è la differenza? Una teoria è qualcosa a cui nessuno crede eccetto chi ne è l'autore, mentre un esperimento è qualcosa a cui credono tutti eccetto chi lo ha compiuto". Questa testimonianza del chimico fisico Hermann Mark riassume con scultorea evidenza la disperante situazione filosofica che caratterizza la fisica del nostro secolo a detta dei suoi maggiori cultori e di coloro che per professione si occupano di filosofia della scienza: da un lato teorie sulle quali vi è aspro scontro, dall'altro prove empiriche di cui chi è veramente addentro alla pratica di laboratorio conosce tutta l'insidiosa doppiezza, l'inesorabile ambiguità. La perdita di certezza che ha segnato la fisica novecentesca si può risolvere nell'adesione a concezioni che sono disposte a rinunciare ad ogni collegamento tra l'impresa scientifica e la nozione di progresso conoscitivo, riducendo la scienza a mero pragmatismo, accettando le tesi dell'anarchismo metodologico, secondo le quali non vi è modo di distinguere i metodi della fisica delle particelle elementari da quelli dell'astrologia o delle pratiche spiritiche, accogliendo l'idea di una sostanziale incommensurabilità tra teorie rivali, che escluderebbe la possibilità di stabilire tra di esse confronti razionali. La nuova raccolta di saggi di Gerald Holton svolge una forte polemica contro queste tentazioni cercando di trovare nell'opera di Einstein, soprattutto, ma anche in quella di altri grandi scienziati del Novecento come Heisenberg e Oppenheimer, motivi e argomenti per poter sensatamente continuare a parlare di progresso scientifico.
Anche Holton, uno dei più noti tra gli storici e i filosofi della scienza attuali, che il lettore italiano conosce già per varie traduzioni ("L'immaginazione scientifica", Einaudi, 1983; "L'intelligenza scientifica", Armando, 1984; "Scienza, educazione e interesse pubblico", Il Mulino, 1990) considera sostanzialmente fallimentari i tentativi compiuti dalle grandi scuole di filosofia della scienza per salvare il valore conoscitivo dell'attività scientifica, siano esse di derivazione neopositivistica o falsificazionista. Il neopositivismo risulta incapace di comprendere, partendo da un modello epistemologico bidimensionale nel quale trovano spazio solo proposizioni analitiche e proposizioni empiriche, un terzo livello pure presente nell'attività degli scienziati, quella "regione incerta e mutevole dei concetti, delle teorie e delle recenti scoperte... che devono essere sì presi in considerazione, ma con una certa dose di scetticismo,. in quanto sono creazioni dell'uomo, limitate, confutabili, e se necessario, eliminabili".
L'opera di Einstein è l'esempio più chiaro della presenza di queste componenti congetturali, libere creazioni ipotetiche che con l'esperienza hanno un rapporto assai più complesso di quello che può essere accettabile da un punto di vista neopositivista. Ma lo stesso pensiero einsteiniano rappresenta anche una smentita del modello falsificazionista. È notorio che in Popper l'idea di caratterizzare la scienza come un insieme di proposizioni falsificabili nacque da un confronto tra l'atteggiamento metodologico presente nell'opera di Marx, Freud e Adler, da un lato, e quello di Einstein, dall'altro: mentre il marxismo e la nuova psicologia apparivano protesi a trovare nella realtà verifiche alle proprie tesi, preoccupati di salvarsi dalle smentite empiriche (e vi riuscivano con facili artifici), Einstein dichiarò di essere disposto a buttare a mare le proprie idee di fronte ad una confutazione da parte dell'esperienza.
L'analisi di Holton mostra invece come Einstein, al di là di tutte le sue dichiarazioni in apparenza "popperiane", abbia tenuto costantemente un atteggiamento assai disinvolto, mantenendo al cospetto dell'assenza di verifiche o addirittura della presenza di falsificazioni empiriche una "sospensione di incredulità", cioè tenendo ben ferme le proprie idee, accantonando per il momento la difficoltà e sperando in tempi migliori. Anche a Einstein, dunque, va applicata la regola che egli stesso aveva enunciato: "Se volete apprendere qualcosa dai fisici teorici sui metodi da loro usati, vi consiglio di tenere fermo un solo principio: non ascoltate le loro parole, fissate la vostra attenzione sulle loro azioni".
I fisici contemporanei, da parte loro, sembrano manifestare un atteggiamento metodologico che si accorda a meraviglia con le tesi del più radicale anarchismo. All'estremo disinteresse per ogni questione filosofica e metodologica, i fisici odierni affiancano un pragmatismo esasperato, uno strumentalismo spinto, un "opportunismo senza scrupoli" che non esita ad utilizzare qualsiasi mezzo sembri efficace per ottenere un qualche successo scientifico, in barba a tutti i presunti canoni di rigore teorico o sperimentale. Per Holton questo tramonto della filosofia tra gli scienziati è spiegabile con l'intenso sviluppo che la fisica ha conosciuto negli ultimi decenni (che hanno rappresentato un periodo di costante espansione sostanzialmente priva di gravi difficoltà fondazionali); solo gli ostacoli apparentemente insuperabili, le situazioni disperate hanno stimolato nel passato recente interessi e discussioni filosofiche. "È destino che ciò si ripeta. Mi aspetto che in questa valle di lacrime almeno gli scienziati migliori sappiano operare un consapevole ritorno all'epistemologia e riconoscano, come hanno fatto in passato, la necessità di una filosofia. Al momento, però, preoccupazioni siffatte sono ancora in stato di ibernazione".
Dunque, tra una filosofia della scienza che non è in grado di dare modelli di razionalità adeguati alla complessità del procedere storico e una ricerca fisica fatta da pragmatismi rampanti a tutto disponibili, non vi è proprio speranza di salvezza per la buona, vecchia, rassicurante idea che la scienza proceda costantemente verso una sempre migliore conoscenza del mondo? C'è qualcosa che ci possa garantire che da una ricerca che non deve più rispondere ad alcuna regola metodologica, perché nessuna regola appare buona e quel che conta è il successo, non debba nascere una scienza frammentata, contraddittoria, un caos di affermazioni che hanno perso ogni legame con l'idea di verità? Per Holton una via di salvezza potrebbe essere ottenuta :con un'analisi storica che metta in luce la presenza e la funzione essenziale di quel che egli definisce i 'themata' della storia della scienza. E un'idea che Holton aveva già presentato in suoi studi precedenti e che nei lavori raccolti in questo volume è applicata in modo particolare all'opera di Einstein e, in misura minore, a quella di Heisenberg. È vero che in ogni processo di innovazione scientifica il momento fondamentale è costituito da un "libero salto", un atto creativo che nessun modello metodologico è in grado di descrivere e, tantomeno, di disciplinare, ma questa libertà, su cui tanto hanno insistito le filosofie della scienza antirazionaliste e di cui si giovano senza remore i fisici militanti odierni per far carriera, trova il suo limite in una adesione, inconsapevole ma intensa, a nozioni consolidate e radicate da lungo tempo.
Lo scienziato ha bisogno e di fatto si serve, più o meno consapevolmente e apertamente, di una filosofia della scienza, dalla quale attinge alcune costanti che indirizzano tutta la sua opera. Queste costanti sono paragonabili a "vecchie melodie su cui ogni generazione scrive parole nuove". Sono i "concetti tematici" (come quelli di evoluzione, involuzione o stato di equilibrio), i 'themata' metodologici (per esempio il procedimento che consiste nell'esprimere le leggi scientifiche in termini di costanti o di estremi o di impossibilità), e le "ipotesi tematiche" (come il postulato della natura discreta delle cariche elettriche, o l'errata ipotesi della natura discreta dell'energia).
Nel caso dell'opera einsteiniana, Holton mette in luce come tutta l'attività del grande fisico sia stata diretta dall'adesione, mai venuta meno, ad alcuni 'themata' quali l'ipotesi del continuo, il primato della spiegazione formale rispetto a quella materialistica, il valore dell'unitarietà della fisica teorica, la simmetria, la causalità, l'invarianza, la completezza, la semplicità. Il suo attaccamento a questi 'themata' spiega perché Einstein abbia ostinatamente perseguito il proprio lavoro in una data direzione, anche quando il confronto con l'esperienza si rivelava difficile o inutile o evidentemente negativo, spiega cioè il suo comportamento "scorretto" alla luce del codice d'onore dello scienziato popperiano.
L'idea dei 'themata' dà anche un senso alla speranza che da quel guazzabuglio apparentemente privo di regole che è la ricerca attuale possa scaturire, anziché una scienza schizofrenica nella quale ognuno sostiene le proprie idee personali in opposizione a quelle degli altri, un edificio teorico dotato di un certo grado di armonia. Infatti, al di là di tutte le apparenti diversità, di tutte le fratture personalistiche, vi è un nucleo comune ai ricercatori, che rende possibile sperare in una evoluzione del pensiero scientifico dotata di un ordine, rappresentato proprio da un insieme di 'themata'. Certo si tratta di un tesoro nascosto, ma questo è proprio il compito affascinante dello storico della scienza, il quale, scoprendo le costanti nel mutamento a prima vista dispersivo, ridà alla filosofia il permesso di parlare di continuità, di tradizioni scientifiche che permangono: "La sensibilità del profano non riesce a cogliere la continuità dell'adesione da parte degli scienziati a pochi e inossidabili 'themata' capaci di sopravvivere anche a mutamenti radicali di natura analitica o fenomenica; una continuità che infonde nel singolo scienziato la certezza di un legame con i suoi predecessori".
Affermare che esistono e siano rintracciabili, nella storia della scienza, delle tradizioni non significa però negare che mai queste si interrompano e che non si possa presentare il caso di teorie rivali fortemente differenti tra di loro. I 'themata' hanno generalmente 'antithemata' (il tema del continuo trova di fronte a sé quello del discreto; quello dell'unitarietà delle leggi fisiche si oppone a quello della specificità, ecc.) capaci di generare tradizioni di pensiero radicalmente diverse.
Siamo dunque di fronte, ancora una volta, alla tesi della incommensurabilità tra teorie rivali che divergono sostanzialmente l'una dall'altra? Se così fosse, sarebbe impossibile, almeno in certi casi (ma sarebbero i casi rilevantissimi rappresentati dalle "rivoluzioni scientifiche"), stabilire un confronto tra la teoria che scaturisce da un gruppo di 'themata' e quella generata dagli 'antithemata', ma da allora non sarebbe neppure possibile parlare di un progresso conoscitivo che si attua attraverso le rivoluzioni. La risposta di Holton è che anche durante le rivoluzioni è lecito parlare di possibilità di confronto tra teorie rivali perché in tutti i casi storici alcuni 'themata' sono diversi e altri sono comuni ai contendenti. Ciascuno scienziato opera con uno spettro completo di 'themata' separabili, alcuni dei quali sono presenti anche in regioni dello spettro di immagini del mondo alternative e rappresentano il terreno comune. "Sono pertanto convinto che, in generale, il progresso scientifico fondamentale possa essere inteso nei termini di un processo evolutivo che implica conflitti intorno ad alcuni (ma non tutti) 'themata' ricorrenti... Possiamo dunque capire perché il progresso scientifico sia spesso disordinato, ma non catastrofico".
Naturalmente, si potrebbe osservare, nessun modello epistemologico può garantire a priori che effettivamente in ogni grande svolta scientifica solo alcuni dei 'themata', ma non tutti, siano diversi. Questo è un dato che solamente la ricognizione storica può appurare, ma finora le cose sono andate proprio così, garantisce lo storico Gerald Holton.

Leggi di più Leggi di meno
Chiudi
Aggiunto

L'articolo è stato aggiunto al carrello

Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Chiudi

Chiudi

Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.

Chiudi

Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore