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scheda di Cortellazzo, S., L'Indice 1991, n. 4
Graham Greene e il cinema: un rapporto che si pone a più livelli, stratificato, ambiguo, sicuramente fertile, da un lato perché il cinema è sempre stato attratto dalle narrazioni così visive dello scrittore inglese, dall'altro perché Greene stesso ha avuto un costante, intenso e difficile rapporto con l'industria cinematografica, sopportando saccheggi e totali travisamenti ("Ci si deve abituare a queste cose e è una perdita di tempo risentirsene. Prendi i soldi, puoi scrivere per un anno o due, non hai motivo di lagnanza"), scrivendo sceneggiature e facendo il critico per "The Spectator", esperienza ricostruita da Geoffrey Nowell-Smith nel suo bel saggio. I libri di Greene sono stati quasi tutti portati sullo schermo - sono ben 28 i titoli della sua filmografia - e quasi tutti, com'è di norma, sono stati "traditi". Ora, superando il problema sterile e ormai sorpassato della fedeltà al testo, il denso volume scandaglia, attraverso molteplici interventi, il percorso di varianti, mutazioni, assenze, scarti e differenze messe in atto nell'incontro-scontro fra immagine filmica e testo letterario. Secondo Bertinetti e Volpi Greene ha offerto al cinema essenzialmente due elementi: "delle storie 'forti', non tanto nel senso della costruzione, ma delle stratificazioni morali, politiche, esistenziali, e un clima". Il rapporto fra Greene e il cinema viene rivisitato film per film, arricchito da commenti e testimonianze dello scrittore stesso, e soprattutto attraverso la proposta di numerosi saggi originali: Goffredo Fofi analizza il rapporto con Fritz Lang (che nel 1943 ha trasposto cinematograficamente "Ministry of Fear"), rinvenendo affinità indubbiamente interessanti; Guido Fink si addentra a spiegare "i motivi dell'affetto quasi irragionevole" per "I1 fuorilegge" (1942), un film "abbastanza anonimo" tratto da "A Gun For Sale", compiendo un'indagine comparativa affascinante e approfondita. Se Seymour Chatman affronta il problema del narratore in "Il terzo uomo" di Carol Reed, Gianni Rondolino a sua volta esamina il rapporto di lavoro fra Greene e Reed, probabilmente il più proficuo della lunga carriera cinematografica dello scrittore, "a perfect collaboration", come l'ha definita Quentin Falk. Claudio Gorlier e Franco Marenco chiudono la serie di interventi che riescono ad offrire, nella loro globalità, un percorso certo stimolante per chiunque si voglia occupare di Greene e più in generale dei rapporti tra cinema e letteratura.
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