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Proponendo una definizione del capitalismo come quel modello sociale che trasforma il mercato da puro meccanismo regolatore dell'economia in istituzione di governo della società, Davide La Valle opera un rovesciamento delle tesi sostenute da Karl Polanyi in La grande trasformazione (1944; Einaudi, 1974) per affermare che l'economia nella società capitalistica non era troppo poco, bensì ancora troppo incorporata nelle relazioni sociali. La crescita economica delle società occidentali sta riducendo progressivamente l'importanza del reddito e aumentando quella della considerazione sociale; ciò significa che nonostante il mercato abbia conquistato, con gioia dei liberisti, ogni spazio dell'economia, gli ambiti regolati dai suoi meccanismi si riducono sino a comprendere solo quelli prettamente economici. Viene così meno il suo potere, assegnatogli dal capitalismo, nel distribuire - inefficientemente - lo status sociale. Un dato confermato, spiega l'autore, dalle attuali scelte di consumo e dalle logiche del mercato del lavoro, dal mutato regime politico, ma anche dai nuovi valori sociali di riferimento (sempre più "romantici"): tutto spingerebbe insomma verso una società non di mercato, composta da cittadini "individualisti" perché desiderosi di recuperare una maggiore libertà di scelta nella propria vita sociale, scorporata finalmente dalla sfera economico-mercantile. Una società forse più triste, tuttavia, nella quale i giovani perdono interesse nei confronti dell'impegno sociale e politico; ridimensionando così l'ottimismo che spinge l'autore a identificare nell'odierna società non di mercato una - seppur parziale - vittoria delle passate lotte del movimento operaio.
Mario Cedrini
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