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Anno edizione: 1995
Anno edizione: 2024
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Ingredienti: tredici brevi racconti di un sopravvissuto ai lager, un protagonista sospeso tra il rispetto delle tradizioni religiose e il rifiuto di Dio, vari incontri da adulto giramondo e ricordi da bambino in Transilvania, una riflessione finale sulla banalità del male. Consigliato: a chi mantiene accesa la memoria nel buio di ogni notte, a chi cerca spiegazioni agli eventi meno giustificabili dell’umanità.
E' un libro stupendo e lacerante. Consiglio di leggerlo in immediata prosecuzione de "La notte". Gli ultimi due capitoli costituiscono un caposaldo dei "perché" non risolti e verso i quali, pur ammessa la mera necessità di divulgazione storico-filosofica ed antropologica, secondo Wiesel si farebbe bene a tacere. Il mondo sapeva e non ha fatto niente; Churchill, Roosvelt, Stalin conoscevano già dal 1941/1942 l’esistenza dei campi di concentramento e i meccanismi dello sterminio, ma non mossero un dito per salvare gli ebrei o almeno intralciare quella infernale routine, fosse stato anche solo per bombardare le linee ferroviarie che portavano alla morte. Nessuno fece niente per avvisare i tanti che “partivano”; nessuno ebbe mai notizie da Radio Londra su quale fosse la loro reale destinazione. Con quale diritto le generazioni successive parlano e pontificano ora sui “morti”, non avendone titolo alcuno? La spiegazione di Wiesel è che in fondo gli ebrei della diaspora erano storicamente un peso per tutti e il loro destino non turbava le coscienze più della notizia di un furto in un negozio o di un incidente stradale. Tutto avveniva come se non fossero stati anch’essi appartenenti al genere umano, per cui il loro sterminio lasciava indifferenti sia le altre nazioni ed etnìe, sia le altre confessioni religiose a partire dalla chiesa cattolica, sia il nascente Stato di Israele, sia la comunità ebrea americana. Con questa feroce consapevolezza, i deportati si allineavano disciplinatamente, chinavano la testa e “andavano”, quasi mai reagivano, infine morivano. Da quando furono aperti i campi di concentramento il mondo si confronta in infinite discussioni di genere storico, filosofico, letterario, antropologico, alla ricerca di confortanti e rassicuranti “perché”, ma Wiesel nega a tutti tale possibilità di conforto e rassicurazione ed invita a tacere sui morti. Peccato si parli poco dell'infausto ruolo svolto dai Consigli Ebraici, senza del quale tanti sarebbero sopravvissuti.
Malinconico, decadente, a volte disperato, ma bello, avvincente, coinvolgente. Un capolavoro di poche pagine, ma intense. C'è qualcosa nei narratori ebrei che conquista una parte di noi. Forse quella parte che il mondo moderno sta tentando in tutti i modi di fare scomparire. Un sincero Grazie al narratore di Sighet.
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