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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2017
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(...) La figura del paria ha in Hannah Arendt un’identificazione politica. Paria sono coloro che non hanno cittadinanza, non hanno il “diritto di avere dei diritti” e, nella storia del Novecento, i senza patria, i profughi, gli esuli e certamente gli ebrei. Il paria?è l’escluso che può fare della propria assenza di mondo lo spazio di un “privilegio negativo” articolato dalle “qualità ebraiche”: “il ‘cuore ebraico’, l’umanità, lo humour, l’intelligenza disinteressata”. A questa ebraicità paria dà espressione la genialità di alcuni grandi scrittori e artisti. Narrate in questo libro, troviamo, tra le altre, le figure dello Schlemihl di Heinrich Heine, e soprattutto l’“uomo di buona volontà” di Franz Kafka. (...)
“Lei non è del Castello, Lei non è del paese, Lei non è niente”: così Kafka riassume la condizione ebraica, che si estende sino “alla ferita più dura inferta dalla società al paria, di farlo cioè “dubitare e disperare della sua propria realtà”, di farlo apparire “anche ai suoi propri occhi come quel ‘nessuno’ che è agli occhi della buona società”. (...). K. tende semplicemente a ciò cui tutti gli esseri umani dovrebbero avere diritto: una casa, un lavoro, l’amore, una famiglia, una cittadinanza. Diritti naturali, che gli sono negati. E però al di là di ogni escamotage assimilativo, “il pensiero – scrive Arendt – è la sola arma con cui il paria è equipaggiato fin dalla nascita nella sua lotta per la vita contro la società”. Ciò che distingue K. è “la nuova, aggressiva qualità della riflessione”. (...). Nei romanzi di Kafka Il protagonista “si distingue sempre per il fatto che egli vuole sapere come stanno veramente le cose. Interessa a questi paria nient’altro che scoprire ciò che sta dietro le realtà date per ovvie, concentrandosi “fermamente su ciò che vi è di più naturalmente umano” (...).
Nel saggio sull’“uomo di buona volontà” avviene un rovesciamento del concetto di paria, poiché “per primo” Kafka ribalta la realtà del conflitto tra paria e società, fa dell’uomo di buona volontà un elemento di ostinato contrasto alla presunta ovvietà del corso delle cose, conferisce alla figura dell’ebreo paria un significato che si estende al di là delle vicende dell’ebraismo. K. vuole soltanto ciò che spetta a tutti per diritto, ma nel tentare di diventare “indistinguibile” fra gli abitanti del villaggio, scopre che quella normalità, quell’umanità, quei diritti umani che egli ha sempre ritenuto naturali, in realtà non esistono affatto; viene a conoscenza di storie mostruose, di annientamento di umanità. Constata che non lui, l’escluso, è un “nessuno”, bensì “la società è un nessuno, in abito da sera”: di fronte ai tanti nessuno “in frack”, K. è estraneo non perché come forestiero è privato dei suoi diritti umani, ma perché è venuto nel villaggio e li esige (...).
Recensione di Fernanda Rosso Chioso
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