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È la ricostruzione delle tracce lasciate dall'ebraismo nelle letterature europee ed extraeuropee il fil rouge che attraversa la valida raccolta di saggi curata da Stefano Manferlotti e Marisa Squillante. Ebraismo e letteratura, spaziando dalla latinità fino a Wesker e a Levi, mette in luce in modo assai convincente le mitografie più o meno negative attraverso le quali la cultura ebraica è stata letta e riscritta. Già le satire di Giovenale, ricorda Marisa Squillante, descrivevano con sarcasmo le resistenze degli ebrei ai mores romani; e l'ammirazione che Ambrogio da Milano tributava alle figure dell'Antico Testamento non si traduceva in un'apertura alle comunità ebraiche del tempo (Bruno Bureau).
L'Ulisse di Joyce, come emerge dal ricco saggio di Manferlotti, offre un'interessante varietà di atteggiamenti: se un personaggio secondario quale Buck Mulligan si confronta con l'ebraismo in modo irrazionalmente aggressivo e stolidamente "monocorde", alle figure complementari di Dedalus e Bloom fa capo invece una riflessione più articolata. È l'ironia la lente che filtra il loro sguardo e lo rende complesso e molteplice. Dedalus porta avanti una contestazione della chiesa in base ad argomenti razionali, ma al contempo sfoggia anche una colta blasfemia "citazionista" che pontifica più che argomentare, e riscrive rovesciandolo il "catalogo di mitologie stanche" del cristianesimo; al contrario, nell'ebreo non praticante Bloom il comico è associato alla tolleranza e all'equanimità. Ironia e parodia sono da sempre lo spazio che rende possibile la compresenza tra elementi diversi e contraddittori (Jean Paul definiva il Witz come "il falso prete che si diverte a sposare coppie impossibili"); così, il tono semiserio di Bloom "ospita" la convivenza tra ebraismo e cristianesimo e dunque la realizza concretamente, veicolando una visione delle vicende umane meno estrema della storia senza evoluzione e senza redenzione di Dedalus.
Angela Leonardi propone invece un'acuta analisi dello Shylock di Arnold Wesker, in cui le figure stereotipate o negative dell'ebreo presenti nel Jew of Malta di Marlowe e nel Merchant of Venice shakespeariano vengono destrutturate e riscritte fino a essere del tutto riscattate. I restanti saggi si concentrano su altri testi del Novecentocome Gli occhiali d'oro di Giorgio Bassani (Annalisa Carbone), Mr. Sammler's Planet di Saul Bellow (Massimo Paravizzini), le poesie di Primo Levi (Virginia di Martino), e sottolineano come i personaggi legati all'ebraismo siano di volta in volta figura dell'esclusione sociale, di un sofferto cosmopolitismo o di una più profonda Menschlichkeit.
Irene Fantappiè
Che l'ebraismo si ponga, con il cristianesimo e con tutto ciò che dà forma alla cultura greco-latina, alla base della nostra storia comune, è incontrovertibile: è dagli incroci, contaminazioni e confronti fra l'uno e l'altro di questi vasti insiemi che nasce, nel bene e nel male, quella che oggi chiamiamo civiltà occidentale. I saggi qui raccolti, esaminando da una pluralità di prospettive i rapporti che le letterature nazionali hanno da sempre intrecciato con l'ebraismo, dimostrano come gli scrittori creativi siano stati anche i più acuti nel cogliere le strutture profonde di un simile contatto: gli epici di età flavia, i commentatori virgiliani, sant'Ambrogio, gli autori della tarda latinità, tracciano con le loro riflessioni un ben discernibile filo rosso che giunge fino ai moderni, qui rappresentati in ambito anglosassone da Joyce, Wesker e Bellow e, in quello italiano, da Bassani e Primo Levi. Dialogo fecondo ma aspro, non di rado macchiato come dimostrano gran parte delle opere analizzate in queste pagine dal pregiudizio e dal sangue.
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