"Mi chiamo Giulio Mozzi. Sono nato il 17 giugno 1960 ed abito a Padova. Ho pubblicato alcuni libri di racconti, alcuni libri (anche per le scuole) sull’insegnare a scrivere, e alcune raccolte di racconti e scritti di giovani autori. Non ho mai desiderato essere uno scrittore; e non lo desidero neanche adesso. Ho scritto il mio primo racconto il 17 febbraio 1991, all’età di 31 anni: si trattava dì una lettera alla mia migliore amica, vittima di un furto, nella quale fingevo di essere il ladro e di voler restituire alcuni oggetti cari. La migliore amica mi scrisse (lei era a Londra, all’epoca). «Carino, quel racconto che mi hai mandato». Così realizzai di aver scritto un racconto. La mia unica intenzione era stata di consolare la mia mìgliore amica della perdita subita e di divertirla un po’. Provai a scrivere altri racconti e vidi che la cosa mi veniva bene. Se una cosa mi viene bene è inevitabile decidere di dedicarci un po’ di tempo. Scrivere racconti, cioè raccontare delle storie, è una cosa importante per me; ho scoperto che raccontare delle storie, anche in parte o del tutto immaginarie, serve ad approfondire la conoscenza delle cose reali. Se si vuole raccontare bene una storia, bisogna conoscere bene il funzionamento delle cose, delle relazioni tra le persone, degli avvenimenti ordinari e straordinari della vita. Bisogna pensare moltissimo, aguzzare gli occhi, farsi domande, informarsi, leggere i giornali, osservare i comportamenti. Tutto questo è molto utile. Se una cosa ti sembra utile, è inevitabile decidere di dedicarci un po’ di tempo. Se una cosa è divertente e utile è chiaro che ti ci appassioni. Così io mi sono appassionato a raccontare storie. Comunque la mia vita non è tutta qui. Ci sono cose più divertenti, più utili, in sostanza più importanti. Raccontare storie ha una certa importanza nella vita ma non ha la massima importanza. In generale sono bravo a raccontare storie piuttosto tristi. A molti dei miei personaggi succede di perdere qualcuno, o qualcosa, e di non poterlo più ritrovare. Spesso i miei racconti raccontano proprio l’impossibilità di ritrovare le cose o le persone che si sono perdute. Direi che questo è il mio argomento principale. Perché sia così, non so bene. Evidentemente qualcosa dentro la mia testa fa sì che per me questo argomento sia il più importante di tutti. Ma sapere perché sia così non è poi tanto importante. Sono un uomo fortunato. Sono nato in una famiglia benestante e colta. Sono stato abituato alla lettura fin da piccolo. Ho imparato presto che la lettura è divertente e utile: si passa il tempo ad imparare tante cose. Sono stato educato fin da piccolo a parlare un buon italiano. A vent’anni, grazie a un diploma in dattilografia con un buon voto, sono stato assunto come dattilografo nell’ufficio stampa di un’associazione di artigiani. Ci sono stato sette anni. I giornalisti che mandavano avanti l’ufficio mi hanno insegnato, un po’ alla volta e ciascuno a suo modo, le tecniche e le pratiche della scrittura. Poi ho lavorato altri sette anni come fattorino in una libreria di libri tecnici, scientifici e medici. Era un lavoro che mi piaceva molto, andavo in giro tutto il giorno con un bellissimo ApeCar bianco, con scritto sulla fiancata in verde mela Libreria Internazionale Cortina. Avevo dei colleghi simpatici. Anche la proprietaria, benché avesse un cattivissimo carattere, era una buona persona."
(dal sito di Reggio Emilia)
Alla fine degli anni Novanta ha lavorato per la casa editrice Theoria. Dal 2002 al 2009 ha curato la narrativa italiana per la casa editrice Sironi, dal marzo 2008 è consulente di Einaudi Stile Libero. In rete cura il blog Vibrisse Bollettino e ha promosso la casa editrice Vibrisselibri.
Lo studio