Giorgio Manganelli è stato uno scrittore e saggista italiano. Fece parte del Gruppo 63.
La sua vita inizia il 15 novembre 1922, in via Ruggero Boscovich numero 4 a Milano che, se cercate su Google Maps, non c’è. Ed è così che la vita di chi ha amato, e studiato, le cose che non esistono inizia proprio in una casa che non esiste.
Vissuto ai suoi tempi per lo più come un outsider, un trickster se non proprio un «teppista», oggi è considerato un classico della nostra letteratura. Collaborò al "Corriere della sera" e ad altri quotidiani, raccogliendo poi gli articoli pubblicati nel volume "Improvvisi per macchina da scrivere" (1989). Autore di saggi come "La letteratura come menzogna" (1967), "Angosce di stile" (1981), "Laboriose inezie" (1986), ha scritto anche reportages come "La Cina e altri orienti" (1974). Nelle sue opere narrative, caratterizzate da una scrittura barocca, è rimasto fedele a un'immagine manieristica della letteratura, come costruzione artificiosa di un mondo surreale. Tra i titoli: "Hilarotragoedia" (1964), "Agli dei ulteriori" (1972), "Centuria" (1979, premio Viareggio), "Discorso dell'ombra e dello stemma" (1982), "Tutti gli errori" (1987), "Rumori o voci" (1987), "Encomio del tiranno" (1990).
Postumi sono usciti: "La palude definitiva" ed "Esperimento con l'India" (1992) e "La notte" (1996).
«Pietro Citati lo definì una volta un “malinconico tapiro”, per quel suo aspetto poco antropomorfo, la sua tendenza alla pinguedine e con gli occhi allarmati, come se fosse circondato da pericoli. Ma forse non è così assurdo pensare a Manganelli come a un animale. Uno scrittore che, per scavare nei meandri della letteratura e della critica, si fa lombrico, talpa, un Gregor Samsa reale.»