(Savona 1552-1638) poeta italiano. Dopo una gioventù irrequieta trascorsa prima a Roma e poi in varie città d’Italia, si ritirò a Savona, dove si dedicò tranquillamente alla poesia. La sua copiosissima produzione, pubblicata più volte dal 1586 in poi, abbraccia quasi tutti i modi allora in voga: dai poemi eroici di imitazione tassesca (Gotiade, 1582) alle tragedie, dai poemetti didascalici ai componimenti sacri e al melodramma (Il rapimento di Cefalo, 1600, musicato da G. Caccini). Ma la parte più viva e più nota è costituita dai versi di genere lirico. Ch. è stato spesso considerato esponente di una tendenza diametralmente opposta a quella enfatica e fastosa di G.B. Marino, ma anche la sua poesia va intesa come espressione caratteristica del gusto dell’epoca. Egli tentò l’inserimento di inediti interessi psicologici e morali in contesti verbali controllatissimi, assai ammirati dai poeti del Settecento, in particolare dagli arcadi. A un simile atteggiamento corrisponde anche il suo programma metrico: egli iniziò una riforma basata sul parziale recupero delle forme quantitative della poesia classica, tradotte nei versi tradizionali italiani. Quanto ai risultati poetici, più che alle odi pindariche, molto apprezzate al suo tempo, l’attenzione dei moderni si è rivolta ai componimenti minori in versi brevi, come le odicine e le canzonette anacreontiche, esemplari per la straordinaria duttilità e armonia del dettato (notissima, fra tutte, la canzonetta Belle rose porporine). Uguale eleganza si riscontra nei Sermoni (1623-32), di tono oraziano e in endecasillabi sciolti, i quali sembrano anticipare alcuni aspetti della poesia di G. Parini.