Francesco Valagussa è professore associato di Estetica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, dove insegna Estetica e forme del fare, oltre a Estetica, poetica e simbolica. Coordinatore del Centro di Ricerca di Metafisica e di Filosofia delle arti diaporein, ha curato opere di Hegel, Kant, Simmel, Musil, Benjamin e Spaventa. Il riflesso del riflesso Nello scritto Sul rapporto della logica con la filosofia Fichte parla dell’immagine a in quanto avente lo stesso contenuto dell’essere, precisando che «non c’è assolutamente nessun’altra differenza fra l’essere e l’a, a parte il fatto che quest’ultimo non è l’essenza stessa». Naturalmente questa immagine a non si trova da sola, bensì risulta inseparabile da un’altra immagine b, mediante cui a viene compresa in quanto immagine. Ma se a non differisce in nulla dall’essere di cui è immagine, se non per il fatto di essere immagine e non l’essenza stessa, allora la differenza tra a e l’essere non può essere determinata contenutisticamente, ma soltanto intuita. È fondamentale osservare che qui Fichte parla dell’intuizione di una differenza, mentre negli stessi anni Hegel scriveva che quella tra l’essere e il nulla è «una differenza soltanto opinata». Questa differenza – o meglio l’intuizione di questa differenza tra essere e immagine – non altera affatto l’essere, bensì istituisce letteralmente un altro mondo, una nuova dimensione rispetto a quella del mero essere. Come è stato chiarito proprio commentando questi passaggi fichtiani «la differenza è il senso, e il senso è il differire della differenza»: l’aggiunta (del) trascendentale «non muta nulla sul piano della determinatezza qualitativa dei contenuti, ma cambia tutto sul piano della costituzione del loro senso», precisando però che quella determinatezza qualitativa nemmeno potrebbe apparire – né trasformarsi differendo da se stessa – a prescindere dalla costituzione del suo senso. Davvero l’essere risulterebbe vuoto, se non fosse per l’istituzione di quel senso che lo determina qualitativamente. La stessa vuotezza che lo caratterizza quando si prescinde dall’immagine è parte della sua “sensatezza”.