(Lamporecchio in val di Nievole, Pistoia, 1497 ca - Firenze 1535) poeta italiano. Figlio di un notaio, studiò a Firenze e nel 1517 si recò a Roma presso il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena (suo lontano parente), alla morte del quale, nel 1520, passò al servizio del nipote Angelo Dovizi. Nel 1522, con l’elezione di Adriano VI, contro il quale B. aveva lanciato strali feroci, dovette lasciare Roma; fu ancora al servizio di Giovan Matteo Giberti e, nel 1532, del cardinale Ippolito de’ Medici a Firenze, dove, coinvolto in intrighi di corte, morì forse avvelenato. Compongono la non amplissima opera di B.: Carmina in latino, convenzionali e tutt’altro che «berneschi», rime d’occasione, sonetti di diverso argomento, scherzi scenici come La Catrina (scritta verso il 1516 e pubblicata postuma nel 1567), il Dialogo contra i poeti (1526), il rifacimento dell’Orlando innamorato di Boiardo (1524-31); ma soprattutto divenne famoso per i 32 Capitoli (ragionamenti satirici in terzine, scritti in diversi tempi e pubblicati in edizioni poco accurate a partire dal 1537 e per intero solo nel 1885, come le vivacissime Lettere).Con dichiarazioni di poetica paradossali, sperimentazioni satiriche o composizioni più apertamente parodistiche, B. si confronta con un mestiere, quello di letterato, che egli demistifica e che comunque accetta come sfogo cui indulgere sia pur «per poltroneria». E proprio in questo difficile rapporto con la scrittura, aperta ad accogliere, con un accanimento talora scanzonato altre volte crudele, gli aspetti ripugnanti, infimi e risibili della vita umana e della realtà (la peste, i ghiozzi, le anguille, l’orinale, i debiti, il caldo del letto sono tra i suoi argomenti poetici), B. raggiunge originali risultati di amplificazione e di straniamento. Insieme con l’Aretino (del quale fu nemico dichiarato), B. rappresenta, dunque, il momento più significativo di quell’atteggiamento antiletterario, di quel gusto dissacratore dell’ordine, dell’armonia idealizzante e dell’eleganza accademica che il classicismo bembesco tendeva invece a imporre alla cultura del primo Cinquecento. Da lui discese quel genere letterario (il capitolo alla «bernesca») e più generalmente quella poesia ridanciana, salace e fustigatrice, che ebbe tanti seguaci fino all’Ottocento.