(Modena 1565-1635) poeta e scrittore italiano. Nobile, studiò a Bologna e a Ferrara; al servizio del cardinale Ascanio Colonna dal 1599, nel triennio 1600-03 fu con lui in Spagna. Rientrato in Italia, dimorò per lo più a Roma, salvo il periodo (1618-21) trascorso alla corte torinese di Carlo Emanuele I e quello estremo, iniziato nel 1632, presso la corte modenese di Francesco I.T. esordì con una raccolta di meditazioni critiche, Varietà di pensieri di A.T. (1608), in 9 parti, cui fu aggiunta una decima sugli Ingegni antichi e moderni (1620): è una polemica contro l’autorità di Aristotele a favore dei moderni. Allo stesso modo, le Considerazioni sopra le rime del Petrarca (1609) vogliono opporsi alla poesia d’imitazione sempre in nome d’uno svecchiamento della cultura e del pensiero. Temperamento violento e litigioso, a queste polemiche T. ne fece seguire altre contro i suoi interlocutori, sino a che, nel 1615, non si diffusero due Filippiche, a lui ormai quasi sicuramente attribuite, contro Filippo III di Spagna. L’invettiva, che vi si snoda, impetuosa ed efficace, giovava a Carlo Emanuele I di Savoia, cui gli spagnoli contendevano in quegli anni il Monferrato, e deve essere interpretata non tanto come un vigoroso slancio patriottico, quanto come una protesta contro la politica imperiale sopraffattrice dei diritti dei principi italiani. Nel 1622 uscì La secchia, riveduta per richiesta del Sant’Uffizio e ripubblicata col titolo La secchia rapita nel 1624; ma questo vasto poema (12 canti in ottave) era già pressoché finito nel 1615, ed è perciò da porsi come archetipo, anche rispetto allo Scherno degli dei (1619) di Francesco Bracciolini, del genere eroicomico. Nella Secchia rapita si narra di una guerra sorta per futili motivi tra Bologna e Modena nel sec. XIII; ma l’ambientazione storica costituisce un amaro pretesto per alludere alle secolari e spesso ridicole rivalità delle città italiane. La vena comica risulta a tratti autentica e indubbiamente riuscite sono alcune «macchiette» come quella del conte di Culagna, tipo di spaccone sciocco e codardo, o l’altra del cavaliere Titta, goffo e vanaglorioso dongiovanni. Per salire alle vette della grande satira manca però all’autore una visione globale e distaccata della realtà che lo circonda, sicché il tono delle sue parodie scade sovente nel livore personale, nel puntiglio, nella caricatura grossolana.