(Rio de Janeiro 1839-1908) scrittore brasiliano. Era di umile famiglia: il padre, imbianchino, era un mulatto, la madre, un’azzorriana bianca, trapiantata a Rio dalla nativa isola di São Miguel. Autodidatta, esordì a sedici anni dopo l’abbandono della casa paterna, pubblicando il primo testo poetico La palma (A palmeira, 1855). Superate le difficoltà economiche iniziali e i pregiudizi razziali, riuscì a conquistarsi una buona posizione sociale fino a diventare alto funzionario dello stato e presidente dell’Accademia Brasileira de Letras (1897). Nonostante la vastità di interessi, M. de A. è soprattutto un narratore. La sua costante pratica giornalistica gli fornisce il taglio e la misura del racconto, della cronaca, del capitolo di romanzo, che uscirono quasi sempre, in prima stesura, in appendice ai giornali dell’epoca. Egli ha lasciato: Racconti di Rio de Janeiro (Contos fluminenses, 1872), Storie di mezzanotte (Histórias da meia-noite, 1873), Fogli sciolti (Papéis avulsos, 1882), Storie varie (Várias histórias, 1896); e romanzi: Resurrezione (Ressurreição, 1872), La mano e il guanto (A mão e a luva, 1874), Iaiá Garcia (1878), Memorie dell’aldilà (Memórias póstumas de Brás Cubas, 1881), Quincas Borba (1891), Don Casmurro (1899), Memoriale di Aires (Memorial de Aires, 1908). Queste opere ripropongono quasi sempre gli stessi personaggi: giovani avviati a vaghe carriere pubbliche, ma momentaneamente dediti all’unica attività propria di uomini liberi: l’amore; fanciulle da marito; madri vedove, zie e parassiti vari, tutti concentrati in una Rio de Janeiro vista più nei suoi salotti che entro lo sbalorditivo scenario naturale. C’è però un salto di qualità, stilistico, poetico, ma anche di atteggiamento umano, fra una prima fase (fino al 1879) giornalistica e di approccio alla scrittura narrativa e una seconda, aperta nel 1881 dalle Memorie dell’aldilà, surrealisticamente narrate dall’oltretomba dal defunto-autore, e facenti parte di una trilogia di cui sono tappe seconda e terza il Quincas Borba e il Don Casmurro. Quest’ultimo è, forse, il capolavoro di M. de A., centrato sull’enigmatica figura femminile di Capitú, la cui contorta psicologia si riflette nello specchio incrinato del racconto-memoria del marito frustrato, Bentinho. Si tratta di una narrativa psicologica, scritta da un uomo che ha perso ogni illusione sull’autenticità dei sentimenti umani.Quanto allo stile, in tempi di revanscismo linguistico, mentre il Brasile naturalista e regionalista inventava una sua lingua differenziata dalla portoghese, M. de. A. componeva i suoi periodi «facili», le sue frasette disseccate e colloquiali «con settanta parole in tutto»: osava apostrofi dirette, piroette narrative, flash-back rocamboleschi, di cui subito rivelava, con beffarda ironia, il meccanismo frusto.M. de A. fu poeta parnassiano: Crisalidi (Crisálidas, 1864), Falene (Falenas, 1870), Americane (Americanas, 1875), Occidentali (Occidentais, 1901), la raccolta Poesie complete (Poesias completas, 1901); autore drammatico mediocre e critico finissimo. Ma questi suoi aspetti sono sovrastati dal narratore, unico nel suo genere (e non solo nelle lettere brasiliane) e ritenuto, per quasi unanime consenso, l’autore di maggior prestigio del suo paese.