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Drammi politici. Stalin, Hess, Allende, Monsieur Joseph - Gaston Salvatore - copertina

Descrizione


Quattro testi teatrali su quattro figure del Novecento tra loro molto diverse: un dittatore spietato (Stalin), un aguzzino del nazismo imperante (Rudolph Hess), un capo di stato socialista sconfitto (Salvador Allende) e un anonimo commerciante ebreo (Monsieur Joseph).
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Dettagli

2008
25 settembre 2008
413 p., Brossura
9788876445576

Voce della critica

Gastón Salvatore è uno scrittore a contropelo, un autore contemporaneo che si occupa di grandi personaggi della contemporaneità mettendo a fuoco in maniera ricorrente un tema centrale: il potere e l'inevitabile caduta di chi lo detiene. Ma non lo fa seguendo la tendenza del teatro liturgico postmoderno che parla soprattutto di teatro, bensì prendendo a modello i classici della drammaturgia di personaggi e di conflitti etici: i greci, Shakespeare, Ibsen, O'Neill, Miller, Pinter. In questi suoi quattro drammi politici i protagonisti sono giunti alla fine di un percorso che li ha portati al vertice del potere o della ricchezza, e li vediamo nel momento in cui guardano dall'alto l'abisso della caduta sentendosi finalmente liberi dalle costrizioni paradossalmente imposte dall'onnipotenza.
Che cosa hanno in comune Stalin, Rudolf Hess, Salvador Allende e Monsieur Joseph? Poco o nulla, si direbbe, ma qui condividono un autore che li colloca in una situazione limite e senza vie d'uscita: devono fare i conti di una vita, conti che sono in realtà il bilancio di un secolo in Occidente. Nel corso della lunga conversazione con Alfonso Berardinelli che precede i testi, Gastón Salvatore ci dice: "Un re precipita dall'alto. M'interessa l'altezza della caduta. L'altezza della caduta è inerente alla tragedia morale (…) Stalin è il re morente, Hess è il re deposto, Allende è un eroe socialdemocratico assassinato, Monsieur Joseph è il re del fango, quando la società si trasforma in merda lui ne diventa il re". Il destino del potente è crudele, possiamo aggiungere, perché nella sua soggettività non vi è una conseguenza logica fra passato e presente, tutto gli sembra assurdo e terribilmente inspiegabile.
Ma bisogna passare in rassegna i quattro drammi, che per certi versi presentano scelte stilistiche diverse e anche una diversa potenza espressiva. Il volume si apre con Stalin, la pièce più conosciuta e rappresentata dell'autore. Siamo nel 1952 e l'insonne dittatore, a notte fonda, fa condurre a palazzo un attore prelevato nel bel mezzo di una recita, ancora con addosso la maschera di re Lear. Stalin è vecchio e malato, in preda a fantasmi incontrollabili. Sager, l'attore, com'è facile immaginare, appare terrorizzato e sapremo che non solo è vulnerabile perché ebreo, ma anche tormentato dalla tragedia del figlio caduto nelle mani della polizia segreta. Inizialmente il dialogo fra i due protagonisti è il gioco del gatto col topo, ma non finisce lì, perché l'interlocutore del sovrano funziona da elemento catalizzatore dei deliri di un uomo potente che ormai sa di non essere immortale ed è terrorizzato quanto lui. L'attore deve continuare a recitare un doppio ruolo, lotta contro il male e ne è complice, mentre la figura di Stalin prende la forma di una tragica voce individuale. Il merito principale del dramma, come sottolinea Berardinelli, consiste appunto nel fatto che spettatori e lettori riescano sorprendentemente a sentire tale voce in un personaggio che è sempre apparso lontano e irraggiungibile anche ai suoi prossimi.
Nel testo dedicato a Rudolph Hess la messa in scena è più complessa, con un protagonista sdoppiato fra il vecchio ex gerarca che vegeta a Spandau e il giovane ardito che tradisce e vola verso la Gran Bretagna per mettersi d'accordo con Churchill. Secondo Salvatore, Hess rappresenta bene "l'ottusità della quale un popolo è capace", quasi una metafora della Germania, ma è anche uno "straniero", nato e cresciuto in Egitto, scopritore e principale propulsore della carriera politica di Hitler, un dissidente tradito da tutti e fatto passare per folle, il che lo rende particolarmente adatto al ruolo di protagonista di un dramma politico. L'interesse del personaggio risiede infatti nella caparbietà con cui continua a difendere una propria verità non priva di verità, ed è perciò condannato a vivere in prigione, unico ospite di un carcere fantasmagorico. L'intensità drammatica e la complessità di questa pièce, ambientata in una cella del carcere alleato di Spandau (Berlino), nel 1966, propongono dunque riflessioni etiche inquietanti sulla ragione di stato, il sacrificio dell'individuo e il machiavellismo di ogni scelta politica, un tema ricorrente nell'opera di Salvatore. Si può esercitare il moralismo solo se si è contaminati dal male (Nietzsche, citato da Salvatore), e nel caso di Hess risulta esemplare la costruzione di uno scenario nel quale non può esistere l'incontaminato.
In teoria, la scrittura di Allende permetteva a Salvatore di contare su materiali di prima mano, date le sue origini cilene e la vicinanza anche personale con il protagonista del dramma. Invece, forse queste premesse agiscono come fattori di neutralizzazione del testo e il risultato finisce per essere meno convincente. Siamo alla vigilia del colpo di stato e della morte di Allende, lo scenario è la casa del presidente, lui e il suo entourage di amici e consiglieri intuiscono la tragedia imminente, studiano le mosse da opporre alla congiura militare, valutano la reazione di amici e nemici, e riescono anche a sottrarsi all'urgenza del momento, mangiano, scherzano, ricordano. Un Allende umano troppo umano, incerto e in balia di eventi che non controlla più, trova il tempo per fare il bilancio della sua relazione con l'amante e per rimproverarsi errori ora irrecuperabili nella guida del processo rivoluzionario. Allende è anche il dramma della democrazia, dei demoni e le furie scatenati contro la sfida democratica, del profeta disarmato e dell'incapacità di configurare nella realtà quel mondo migliore offerto alle masse. Ma la tensione drammatica non riesce a condensarsi in un punto cruciale, forse troppo distribuita in personaggi minori che il lettore/spettatore fa fatica a mettere in rapporto con lo sfondo della storia.
Lo scenario dell'ultimo dramma, Monsieur Joseph, appare il più originale nell'impianto formale e nella formulazione del dilemma morale e politico. Siamo su una nave diretta da Israele a Marsiglia e fra i passeggeri che partecipano alla placida mondanità del viaggio si trova un prigioniero che noi non sappiamo tale. Monsieur Joseph dev'essere sottoposto a processo, anzi è già stato moralmente condannato, ma non esiste in realtà un giudice o un tribunale legittimato a farlo. Per gli ebrei, il nostro personaggio – anche lui realmente esistito – è allo stesso tempo un eroe e un traditore che è stato rispedito in Europa quando si è presentato in Israele. La Francia del dopoguerra lo può giudicare in quanto collaborazionista o celebrare come un eroe, non sapremo quale sarà il suo destino. Durante l'occupazione, l'ebreo Monsieur Joseph ha trafficato con i tedeschi diventando ricchissimo, ma usava parte dei guadagni per comprare la salvezza di molti ebrei di Marsiglia. Nel tradire gli uni e gli altri, questo mercante si rende ripugnante alla coscienza morale dei perseguitati anche quando li mette in salvo. Nel testo di Salvatore, la figura di Monsieur Joseph si insinua in uno spazio drammatico che apparentemente si è lasciato alle spalle un passato di ombre lontane e insignificanti, appena presenti nei saloni e nei corridoi della lussuosa nave, nella quale, tuttavia, quasi nessuno è quel che sembra. E nessuno può esibire un'integrità morale da opporre all'ambiguità del protagonista del dramma etico forse più potente di questo volume.
Appare meritoria la scelta di Berardinelli di aprire la nuova collana di Scheiwiller con questa raccolta, che restituisce a Gastón Salvatore una visibilità nel panorama teatrale e letterario italiano. Conosciuto come drammaturgo in Germania, dove è vissuto a lungo dopo aver lasciato il Cile negli anni sessanta, Salvatore risiede da molti anni a Venezia e riconosce di essere "il contrario del successo". Scrittore che lavora ai margini e che non ha interlocutori pubblici, ma chi lo legge sa di non perdere il proprio tempo.
Jaime Riera Rehren

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