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La draga le cose
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1997
1 gennaio 1997
192 p.
9788886261395

Voce della critica


recensione di Siani, C., L'Indice 1998, n. 2

"La draga le cose" antologizza una vicenda poetica lunga trentacinque anni (1961-96), svolta prima in italiano, con utile esemplificazione in "Cartigli", 1989, poi irreversibilmente in dialetto ("Semmènta vèrde", 1996). Il percorso italiano, svolto all'insegna di un'accesa sperimentazione, ha goduto del commento di critici di vaglia, che hanno parlato di "gorgo espressionistico" (Baldacci), "viaggio verso la dicibilità" (Mario Luzi), e di caos materico, lacerti creativi, magma, sconnessione, scissione, disintegrazione. Nel che si rispecchia l'immagine del reale come l'autore lo restituisce - non univoco né ordinabile ma continuamente riordinabile in processi incompiuti. Quindi, non ricerca di moduli unificanti ma campo aperto all'espressione di fronte alle contraddizioni del molteplice. Poi è venuto l'abbandono dell'italiano per il dialetto. Sempre, nella dinamica fra lingue egemoniche e minoritarie, entra in gioco un problema di identità. Lo vediamo a livello globale, nei conflitti fra il predominio dell'inglese e la rivalsa di lingue nazionali nelle ex colonie; o in particolare negli Stati Uniti, tra chi sostiene identità e dignità culturali dei gruppi etnici e dei loro idiomi. Può essere questa una chiave di lettura anche per l'estesa adozione del dialetto a scopi letterari, singolare fenomeno italiano, in questa seconda metà del secolo. Identità sentita a rischio, quella dell'individuo di fronte all'appiattimento imposto dalla globalizzazione dei mercati.
Il caso di Serrao verrebbe a conferma. Se l'italiano è la lingua dei lacerti di realtà, dell'io frantumato, l'esercizio del dialetto, il sostrato a cui rimanda, reintegrano la persona (nessuno lo suggerisce meglio dell'autore stesso fra le righe di un articolo di autocommento, su "Poesia", novembre 1993). Tipicamente, il dialetto (di Caivano, presso Napoli) che cela o svela un problema di identità è periferico non solo rispetto all'italiano, ma rispetto alla stessa tradizione napoletana in cui Serrao si inserisce, e in cui fa le sue scelte - non la linea digiacomiana, cantabile e malinconica, ma quella di timbro realista che passa per Basile, Capurro, Russo, Viviani.
Serrao affronta il dialetto con "definitivo distacco dai temi classici del mondo popolare", come "testimonianza (...) della dilacerazione dell'io", "con la stessa libertà con cui si impiegano gli infiniti codici dell'universo plurilinguistico contemporaneo", in "comunanza di sintassi e metri con la poesia in lingua" (per usare le sue stesse definizioni, nella prefazione all'antologia neodialettale "Via terra", 1992, da lui curata). I risultati più interessanti, tuttavia, si hanno laddove la seduzione delle radici non viene pregiudizialmente rimossa, ma si investe appunto di mezzi poetici, temi e forme svincolati dalla tradizione vernacolare e aperti al moderno al pari dell'esercizio in italiano. In questo senso io non vedo "distinti territori", né direi che in Serrao dialettale "ben poco rimane" dello sperimentalista italiano (come invece leggo in recenti pagine critiche). Ciò può essere vero nel senso che le componenti italiana e dialettale sono autonome e valide in sé.
C'è però continuità dall'una all'altra. Il viaggio "verso la dicibilità" è in effetti viaggio verso l'identità, restaurata nella periferia della propria storia personale - tanto da ritrovarsi in una sorta di poetica, in un brano come questo, fra i più evidenti: "Primma ca saglie a luna / acàleme na sporta e parole / mmescate, parole e vinchie ntrezzate / una lèggia n'ata tunnulélla, aria e aria, o cielo / ll'uocchie e na morte piccerella... / quanno o nniro è chiù niro / acàlame e pparole p' e scippacentrélle / e chistu munno... / Cu nu poco e fertuna / ca sta saglienno 'a luna" ("Primma ca saglie a luna") ["Prima che salga la luna / calami una cesta di parole / infette, parole di vimini intrecciate / una leggera, una rotondetta, aria e aria, il cielo / gli occhi di una morte giovane... / quando il buio è più buio / calami parole per i malanni / di questo mondo... / Con un po' di fortuna / ché sta salendo la luna"].

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Conosci l'autore

Achille Serrao

1936, Roma

Poeta, scrittore e critico letterario, laureato in giurisprudenza. Nel 1968 esordisce con la pubblicazione della silloge Stella polare, per le edizioni di Crisi e Letteratura, una rivista letteraria di cui è redattore. Fin dagli esordi appaiono chiari i suoi riferimenti letterari: il simbolismo francese, il surrealismo e l’ermetismo. Frequenta il poeta Mario Luzi, a Firenze, e dopo la morte del padre inizia a scrivere poesie nel suo dialetto di origine, quello della provincia di Caserta. La stagione neodialettale si apre con Mal’aria, il primo volume di poesie in dialetto, pubblicato nel 1990 con l’introduzione critica di Franco Loi; seguono 'O ssupierchio (1993), 'A canniatura (1993), Cecatèlla (1995), Semmènta vèrde (1996), Giro di casa (2001)...

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