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Con garbo leggero, nonostante l'abbondante e minuta documentazione, l'autore illustra le migrazioni del dicastero degli Affari esteri da quando, con il trattato di Utrecht del 1713, il ducato di Savoia fu promosso a regno. L'instabilità non fu soltanto quella degli uffici, ma addirittura delle capitali: da Torino a Firenze e infine a Roma, dove si ebbero tre traslochi. Attraverso gli edifici e i loro occupanti è così narrato un bel tratto di storia italiana nel rapporto delle istituzioni, regie o repubblicane, con il passato e nel loro adeguarsi al presente.
L'impatto con Firenze e con Roma aprì capitoli nuovi. Il regno veniva a inserirsi in sedi, come Palazzo Vecchio a Firenze e, a Roma, il Palazzo della Consulta, poi Palazzo Chigi, che contenevano un ricco patrimonio di arte e di memorie che aveva assai poco in comune con la storia savoiarda. L'inventario degli "oggetti" consegnati dalla direzione delle Regie Gallerie di Firenze per arredare gli uffici di Palazzo Vecchio, prontamente restituiti all'atto del trasloco, inaugura la tradizione dei depositi dai musei agli uffici, mentre le pitture nel Palazzo della Consulta celebrano l'arrivo del gusto umbertino.
Con divertita eleganza l'autore si interessa anche del rapporto dei diplomatici con le città, attingendo alla cronaca, alle corrispondenze e a una copiosa iconografia ( il libro si raccomanda per la dovizia e la cura delle illustrazioni). Palazzo Chigi fu l'impegno più spinoso. L'intero edificio era, ed è, connotatissimo. Non vi fu altra soluzione che arredarlo come un palazzo cardinalizio, con spiccato gusto antiquario. Un po' club, un po' grande albergo. L'affitto, e poi l'acquisto, di quel capolavoro incompiuto di Raffaello che è Villa Madama rispose appunto a queste esigenze. Infine, dal 1959, il ministero ebbe la sua sede costruita appositamente alla Farnesina. Di nuovo ci si trovava a occupare una sede progettata sotto un ancien régime. Infatti, il concorso per il nuovo palazzo era stato bandito nel 1933 ed era stato vinto da Del Debbio, Foschini e Morpurgo, gli stessi architetti del vicino Foro Mussolini. Le dimensioni dell'edificio dovettero apparire per lo meno bizzarre, nel nuovo clima. L'ambasciatore Sergio Romano ricorda: "Ebbi un enorme ufficio tappezzato di stoffa rosso mattone. Calcolai che un architetto di buon senso avrebbe potuto ricavarne una casa di quattro o cinque stanze". È molto interessante considerare quali sono stati gli acquisti per arredare e riempire quei vuoti e come quegli acquisti sono stati distribuiti. Per esempio, una polemica scultura di Mauro Staccioli appare protetta da due transenne. Viene in mente quanti ha scritto Hans Belting a proposito dell' assetto del nuovo Reichstag, che per lo storico tedesco mette in discussione la stessa "identità tedesca": "Noi non abbiamo di questi problemi, a quanto pare, e abbiamo anzi un atteggiamento piuttosto indifferente verso i contenuti delle opere scelte come arredo delle nostre sedi. Penso che sia una fortuna" (Identität im Zweifel, Dumont, 1999).
Ma la curiosità dell'autore non si ferma qui. Esperto di storia diplomatica, ci presenta la "montura" di Camillo Benso di Cavour e altri abbigliamenti ufficiali con i quali, nella lunga storia del regno e della repubblica, la diplomazia ha rappresentato l'autorità e l'eleganza del paese. La diplomazia è arte del comunicare, e la si esercita anche con i palazzi dove svolge la propria missione.
Carlo Bertelli
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