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recensione di Carpinelli, G., L'Indice 1998, n. 8
Un nome rintracciabile su alcuni registri o in un elenco di deportati, qualche fotografia, un annuncio su un quotidiano, poche parole nel ricordo di una cugina: è tutto ciò che di Dora Bruder sembra sia rimasto. Tutto ciò che uno storico normalmente si sarebbe sentito di utilizzare. Come personaggio Dora Bruder quasi non esiste. Sappiamo molto poco di lei, della sua vicenda, che con la guerra è presa nel vortice della persecuzione antisemita e può quindi apparire simile a quella di tante altre vittime, ma racchiude una sua singolarità irripetibile. Dora Bruder era nata a Parigi nel 1926 da genitori ebrei originari dell'Europa centrale, viennese il padre, di Budapest la madre: non sappiamo come ha vissuto la sua infanzia, dove è andata a scuola da piccola, chi erano le sue amiche, quali fossero i suoi pensieri, i suoi affetti.
La trappola mortale comincia a stringersi intorno a lei nel 1940; il 9 maggio di quell'anno entra in un collegio tenuto da suore; il giorno dopo, come è noto, la Germania nazista dà inizio alle operazioni militari contro il Belgio, l'Olanda e la Francia... Nel dicembre 1941, la ragazza quindicenne approfitta di un'uscita domenicale per darsi alla fuga; alla sera non torna dalle suore. Qualche tempo dopo, i genitori si rivolgono alla polizia per tentare di ritrovarla; un giornale pubblica un annuncio con la richiesta di notizie. Nel marzo 1942, Ernest Bruder, suo padre, è arrestato e internato nel campo di Drancy. In aprile, Dora torna ad abitare con la madre. Deve essere scappata di nuovo, perché a giugno viene fermata dalla polizia. Rivede la madre, ma non è detto che le sia stata riconsegnata, come appare invece da un documento. Forse Dora non ha neppure avuto la possibilità di tornare a casa; due giorni dopo è spedita al campo delle Tourelles; trasferita a Drancy in agosto, ritrova il padre e, un mese dopo, fa parte con lui di uno stesso convoglio per Auschwitz.
Un nome, dei dati anagrafici, un vago profilo: in tal modo sono identificabili molte tra le vittime delle tragedie che hanno segnato il nostro secolo, dallo sterminio degli ebrei alla pratica del terrore nei paesi comunisti. A volte, i dati anagrafici con l'aggiunta di alcuni elementi sia pure scarsi sembrano dare corpo a una presenza viva: si intravede un destino individuale, si indovinano propensioni o simpatie, si notano le scelte compiute dal soggetto, che si stacca così dalla folla innumerevole dei personaggi generici e delle comparse. Di fronte a casi del genere, lo storico si blocca, pensa di dover cedere il passo al romanziere: deve dire ciò che è stato, non può dare l'illusione del quadro definito quando dispone solo di pochi elementi.
Patrick Modiano è un romanziere. Nelle sue opere, non punta in genere a una ricostruzione fedele dei fatti ai quali sembra riferirsi. Gli episodi e i personaggi immaginari abbondano; gli elementi verificabili, i dati corretti non hanno un ruolo determinante. Per "Dora Bruder", Modiano si pone a quanto pare su un terreno diverso. I personaggi principali della storia sono realmente esistiti; in parte il romanzo racconta proprio la storia dell'indagine compiuta dall'autore... La parte dell'invenzione libera, se esiste, è assai ridotta. Non sappiamo se Patrick Modiano da giovane ha davvero rubato del vestiario e delle scarpe per rivenderli a un rigattiere, come racconta a un certo punto. Se anche in "Dora Bruder" la tendenza all'autobiografia romanzata, all'"autofiction*, come è stata definita, si manifestasse, non vi sarebbe nulla di strano. Il libro non si presenta come un'opera di carattere storiografico. Ha il carattere di una narrazione che intreccia tre linee di svolgimento. La prima, quella centrale, ha un fondamento documentario e per questo si apparenta a un resoconto storico: riguarda la vicenda di Dora Bruder. Sappiamo che Modiano ama partire nelle sue fantasticherie romanzesche da elementi solidi, forti, di documentazione oggettiva. La storia di Dora Bruder, i dati anagrafici, le annotazioni nei registri scolastici o nelle carte di polizia, le foto, la testimonianza della cugina corrispondono al riferimento oggettivo che nelle opere di Modiano funge spesso da base di partenza: qui il peso dei fatti verificabili è anche maggiore; più che una base di partenza, la storia della giovane ebrea è il motivo centrale della narrazione.
Per altri aspetti, "Dora Bruder "è un romanzo e, pur restando tale, non tradisce nell'insieme la verità storica, ma sa conferirle dimensioni nuove in termini di risonanza emotiva. Vediamo perciò quali sono le altre due linee che il racconto segue.
Una seconda linea è rappresentata dai frequenti richiami all'esperienza personale dell'autore. Modiano è nato nel 1945, sa bene di essere vissuto in tempi molto più tranquilli e normali. Racconta spesso episodi della sua vita che si prestano al confronto. Cerca di ritrovare il carattere dei luoghi che Dora Bruder o suo padre hanno conosciuto. Ricorda di essere stato in quei luoghi o riferisce di averli visitati. Parigi in particolare diventa una città che reca il segno di un'assenza. Il romanziere esagera? Non proprio: raggiunge l'effetto di far sentire che la persecuzione degli ebrei è entrata nella vita di uomini come lui, come noi; si è snodata nelle strade che noi continuiamo a percorrere, in luoghi che si sono caricati per noi di altre memorie ben più familiari e rassicuranti. La vicenda di Dora Bruder è sottratta all'eccezionalità assoluta che essa sembrerebbe comportare per via dell'appartenenza al dominio sacro del genocidio.
La terza linea di svolgimento narrativo è data dalla evocazione del contesto. Qui riscontriamo nel romanziere una abitudine tipica degli storici. Modiano conosce bene il periodo dell'occupazione tedesca in Francia. Si è distinto in passato per posizioni che insistevano sull'ambiguità dei rapporti umani in quel tempo. Non è portato a contrapporre eroi positivi a figure diaboliche. Ancora una volta nel libro assume posizioni per lui nuove. Esalta Dora Bruder come una resistente: "A sedici anni, lei aveva tutti contro, senza sapere perché. Altri ribelli; nella Parigi di quegli anni, e nella stessa solitudine di Dora Bruder, lanciavano bombe sui tedeschi, sui loro convogli e i luoghi di riunione. Avevano la sua stessa età. I volti di alcuni di loro figurano sull'Affiche rouge e, nella mia mente, non posso fare a meno di associarli a Dora". Straordinario omaggio: quel manifesto affisso sui muri di Parigi riproduceva le foto segnaletiche di resistenti ebrei o stranieri fucilati dai tedeschi come banditi. L'evocazione del clima e del contesto permette a Modiano di riempire molti vuoti: il profilo esile della vicenda singolare che emerge dai documenti si trasforma così in una traccia che suggerisce una serie di notazioni giuste e pertinenti, che dà luogo a parallelismi, che fa nascere il desiderio di ricordare altri casi, altre vittime travolte nelle stesse circostanze o in altri momenti da un analogo destino.
Nella letteratura sull'esperienza dei campi, esiste un personaggio commovente che non ha neppure un nome certo. Veniva chiamato Hurbinek dagli altri prigionieri: "Era un nulla, un figlio della morte, un figlio di Auschwitz".Compare nella "Tregua "di Primo Levi: "Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie parole". Dora Bruder si è insinuata nella mente di Modiano per la sola forza del suo nome, che figurava nella lista dei prigionieri partiti per Auschwitz con un convoglio e tornava in un ritaglio di giornale. Ora quel nome è associato a una storia. Un'impronta ora resta di lei, il sentimento di un'assenza, la traccia di un sorriso perché no, come nell'ultima fotografia che le è stata scattata: un sorriso che dava al volto "un'espressione di mesta dolcezza e di sfida": e un mistero che Modiano ha saputo avvertire.
I LIBRI DI MODIANO
Romanzi
"La Place de l'étoile", Gallimard, 1968.
"La Ronde de nuit", Gallimard, 1969.
"Les Boulevards de ceinture", Gallimard, 1972; ultimo volume della trilogia sull'occupazione.
"Villa triste", Gallimard, 1975; sui primi anni sessanta.
"Livret de famille", Gallimard, 1977; con forti elementi autobiografici.
"Rue des boutiques obscures", Gallimard, 1978; su un caso di amnesia negli anni della
seconda guerra mondiale.
"Une jeunesse", Gallimard, 1981.
"De si braves garçons", Gallimard, 1982.
"Quartier perdu", Gallimard, 1984; quasi un poliziesco.
"Dimanches d'août", Gallimard, 1986.
"Remise de peine", Seuil, 1988; incentrato sul ricordo del fratello Rudy.
"Vestiaire de l'enfance", Gallimard, 1989; ambientato a Tangeri.
"Voyage de noces", Gallimard, 1990; ed. it. Frassinelli, 1991.
"Fleurs de ruine", Seuil, 1991; ambientato tra gli anni trenta e gli anni sessanta.
"Un cirque passe", Gallimard, 1992; tra poliziesco e autobiografia.
"Chien de printemps", Seuil, 1993.
"Du plus loin de l'oubli", Gallimard, 1996; rievocazione degli anni sessanta.
Racconti per ragazzi
"Une aventure de Choura", Gallimard, 1986.
"Une fiancée pour Choura", Gallimard, 1987.
"Catherine Certitude", in collaborazione con Jean-Jacques Sempé, Gallimard, 1990; ed. it. Petrini, 1996.
Intervista
"Emmanuel Berl. Interrogatoire", Gallimard, 1976.
Libri illustrati
"Memory Lane", in collaborazione con Pierre Le-Tan, P.O.L. Hachette, 1981.
"Poupée blonde, "in collaborazione con Pierre Le-Tan, P.O.L. Hachette, 1983.
"Paris tendresse", in collaborazione con Brassaï, Édition Hoëbeke, 1990.
Sceneggiatura
"Lacombe Lucien*, Gallimard, 1973; per il film di Louis Malle.
recensione di Bertini, M., L'Indice 1998, n. 8
L'uscita da Guanda di "Dora Bruder", nella bella traduzione di Francesco Bruno, non è passata inosservata. A distanza di pochi giorni, Ferdinando Camon ("Tuttolibri" del 18 giugno) e Pietro Citati ("la Repubblica" del 21 giugno) hanno dedicato a questa inchiesta in forma di romanzo due ampie recensioni, o piuttosto due saggi, particolarmente attenti e sensibili, di lettura ravvicinata. Dell'impresa tentata da Modiano - ricostruire, partendo dalla traccia esilissima di un ritaglio di giornale del 1941 rinvenuto casualmente nel 1988, la breve, straziante avventura parigina di una ragazza ebrea destinata a scomparire ad Auschwitz - i due scrittori sono riusciti a cogliere l'ottica molto particolare: Camon collocando al centro della sua analisi soprattutto la figura di Dora, di cui si è sorpreso a inseguire l'inafferrabile fantasma per le vie di Parigi, tra la Gare de Lyon e il Boulevard Saint-German; Citati ponendo invece l'accento sul "sobrio candore" di Patrick Modiano, che dalle proprie pagine "cancella se stesso, e la propria voce, e quasi la parola Auschwitz", riuscendo proprio per questo a trasmetterci con maggiore efficacia tutto l'orrore di un destino che lo coinvolge in profondità. È indispensabile, per comprendere questo coinvolgimento, fare qualche passo indietro e risalire alle origini della vocazione di narratore di Modiano, segnata sin dagli esordi (contrariamente a quanto affermava, con una sicumera pari soltanto alla radicale disinformazione, la recensione apparsa sull'"Espresso" del 28 maggio) da un tormentatissimo autobiografismo, in cui si intrecciano sensi di colpa arbitrari ma incancellabili, ossessive fantasie persecutorie e vertiginose identificazioni con i più truci aggressori.
Modiano ha ventitré anni quando pubblica a Parigi, nel 1968, il suo primo romanzo, "La Place de l'étoile", e, benché abbia alle spalle incompiuti studi universitari, non si sente partecipe della grande avventura che, tra barricate, scioperi e facoltà occupate, sta travolgendo la sua generazione: i suoi conti con il passato sono legati a un destino familiare troppo singolare per confondersi con qualsiasi forma di rivendicazione collettiva, e inoltre ogni rivolta ideologicamente connotata è totalmente estranea alla sua formazione di avido e precocissimo lettore di Genet e di Céline, di Proust e di Rimbaud, di Scott Fitzgerald e di Pavese. Irresistibilmente, il suo sguardo è attirato dal passato, dal periodo torbido dell'occupazione in cui si sono incontrati i suoi genitori: un'attricetta di Anversa, i cui sogni cinematografici sono naufragati con la guerra, e un finanziere ebreo, Albert Modiano, cresciuto tra Alessandria d'Egitto e Salonicco, ma di lontane origini italiane (il cognome Modiano è una corruzione di Modigliani). Intorno ad Albert Modiano grava qualche ombra, su cui il figlio si interrogherà a lungo: arrestato nel '43, è sfuggito alla deportazione grazie all'intervento di amici collaborazionisti cui lo legavano rapporti d'affari dei più loschi e misteriosi. Nel dopoguerra sarà un padre spesso assente e addirittura ostile; prima di sparire completamente dalla vita del figlio press'a poco ventenne, cercherà di arruolarlo quasi di forza nell'esercito, senza riuscirci, e morirà nel 1978 senza averlo mai rivisto.
I primi tre romanzi di Modiano - di cui la critica ha messo in risalto la struttura circolare, opprimente e claustrofobica - sono in qualche modo dominati dalla duplice, ambigua identità del padre dello scrittore: ebreo apolide, braccato dalla polizia, costretto a vivere di espedienti, Albert Modiano è stato certo una vittima degli anni oscuri della guerra, ma trafficando ai margini degli ambienti collaborazionisti si è anche trovato invischiato in rapporti di complicità con i carnefici. In "La Place de l'étoile "- che racconta nei toni di un surreale umorismo, acre e oltraggioso, il destino di un giovane ebreo, Raphaël Schlemilovitch, pronto, per integrarsi nella società francese, a tutti i compromessi, dall'adesione al nazionalismo più xenofobo alla partecipazione alla tratta delle bianche - la figura di Albert è adombrata da quella del padre di Raphaël, sorta di viscido clown in cui si concentrano tutti i tratti che l'immaginazione antisemita ha per secoli proiettato sulle proprie vittime; nella "Ronde de nuit "traspare dietro il narratore, fragile doppiogiochista che tradisce tanto i resistenti quanto la polizia segreta; in "Les Boulevards de ceinture" è ben riconoscibile in un altro sinistro, ma soprattutto patetico, antieroe della Parigi occupata, un ebreo collaborazionista, continuamente irriso e minacciato dai suoi stessi complici, che cerca di assassinare il figlio spingendolo, per qualche inesplicato motivo, sotto il "métro".
Esasperatamente sopra le righe, sempre in bilico tra autofobia ebraica e orgogliosa rivendicazione dell'eredità della diaspora, il primo Modiano trasfigurava espressionisticamente la Parigi occupata, la trasformava, è stato detto, in un Luna Park grottesco e infernale, popolato di marionette sogghignanti; nulla di tutto questo nella muta, gelida Parigi del 1941-42 sul cui sfondo si consumano le fughe senza speranza di Dora Bruder. Per ricreare dal nulla il destino di questa adolescente smarrita, Modiano ritrova la scrittura piana e sommessa di quello che è forse il suo capolavoro: "Remise de peine", rievocazione del suo decimo anno di vita in un villaggio ai margini di Parigi, in compagnia del fratellino Rudy, che morirà due anni dopo. Intriso di nostalgia lancinante e inespressa, "Remise de peine "rievocava un mondo ben poco rispettabile, fatto di piccoli gangster e delle loro amiche; esemplari di un'umanità dubbia che però sapevano trovare, per i due fratellini affidati alle loro cure, gesti di straordinaria tenerezza. Con eguale tenerezza Modiano indugia, nelle pagine di "Dora Bruder", sulle povere, sbiadite fotografie di Dora e dei suoi parenti, sulle tracce della loro esistenza umile e sfortunata. La "pietas" che lo porta a salvare il ricordo di Dora e dei suoi ricorda da vicino quella che ispirava uno degli ultimi lavori di un altro narratore francese di origine ebraica, Georges Perec: i "Racconti di Ellis Island" (Archinto, 1996; cfr. "L'Indice", 1996, n. 7). Come in "Ellis Island", in* Dora Bruder" il rapporto tra scrittura e realtà si gioca fuori da ogni logica e convenzione letteraria: la poesia che lotta per serbare il ricordo di quel che è stato cancel-lato basta a se stessa e "sanguina" - secondo l'espressione di Michelstaedter - "le sue parole", in uno sforzo di verità di cui possiamo soltanto esserle grati.
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