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A quasi un decennio di distanza dalla sua uscita, coincisa con la prematura morte di Kubrick nel 1999, Eyes Wide Shut continua a stimolare il dibattito tra gli studiosi e gli appassionati di cinema. Si tratta dell'ennesimo, purtroppo definitivo, capolavoro del regista newyorchese oppure resta un'opera incompiuta, in cui il rigore formale, la potenza visiva e la complessità tematica non trovano un adeguato controcanto narrativo e, secondo alcuni critici, non scatenano reale coinvolgimento e piacere fruitivo nello spettatore?
In maniera meno semplicistica rispetto a questa mia sintesi, il dilemma sulla difficile valutazione di un film complesso e sfuggente quale Eyes Wide Shut si pone per i tre curatori come il punto di partenza del percorso di analisi e di approfondimento critico che trova in questo volume una sintesi ricca di stimoli e, in modo programmatico, non definitiva.
Ciò che colpisce maggiormente in un'operazione di questo tipo e la differenzia da certa pubblicistica riferita a seminari o convegni accademici in cui spesso ci si ritrova di fronte a un coro di voci autoreferenziali, semplicemente giustapposte da esigenze organizzative o, peggio, da preoccupazioni più politiche che culturali è la sua capacità di unire alla specificità dell'oggetto di studio l'eterogeneità dei livelli di analisi e la ricchezza degli approcci disciplinari, che attingono a una rete di studiosi italiani, tedeschi, inglesi e statunitensi.
L'idea chiave del volume, che funge da fil rouge per ogni intervento, si desume già dal titolo: indagare le relazioni che intercorrono tra il film e il testo letterario di riferimento, la Traumnovelle che Arthur Schnitzler pubblicò nel 1926, edita a più riprese in italiano con il titolo di Doppio sogno. Il risultato è un libro di grande interesse, che a partire dalle analisi del testo letterario e di quello cinematografico offre una complessa rete di ipotesi e interpretazioni: dai rapporti con la psicologia freudiana ai riferimenti di tipo surrealista; dalla comparazione delle strutture narrative al rapporto tra innovazione e tradizione in entrambi i testi; dalla complessità della partitura musicale alla dialettica che le due opere intrattengono con i contesti sociali e culturali di riferimento.
Merito ulteriore, il libro non ambisce mai a un'analisi definitiva e normativa, assumendo anche le ambiguità e le "incompletezze", o presunte tali, dell'opera di Kubrick come snodi chiave per coglierne la complessità. Scelta coerente per un film che fin dal titolo gioca sull'ambiguità: gli occhi spalancati, wide open, diventano occhi completamente chiusi, o, meglio ancora, "aperti chiusi". Un paradosso che solo l'arte della narrazione può proporre, per non semplificare o banalizzare la complessità del mondo, interiore ed esteriore. Michele Marangi
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