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scheda di Piretto, G.P., L'Indice 1991, n. 8
Karolina Pavlova è una riscoperta della letteratura russa che, per una volta, non si deve alla 'perestroika', ma all'interesse della curatrice, emula di Andrej Belyj e Valerij Brjusov che, ai primi del Novecento, avevano riproposto le opere di questa poetessa di metà Ottocento. L'attività della Pavlova si sviluppò alla fine degli anni trenta del secolo scorso e conobbe un periodo di notevole successo. Il romanzo in questione, l'unica opera in prosa dell'autrice, sfiora qua e là nella sua struttura il romanzo rosa ma non soltanto. Narra dei maneggi per maritare una figlia compiuti da una dama della buona società moscovita e della "doppia vita" della fanciulla, divisa tra l'ufficialità del mondo quotidiano e i trasporti dello spirito; i suoi sogni notturni nel testo si esprimono in versi. Occuparsi di poesia era all'epoca alquanto sconveniente per una giovinetta, e le trasgressioni della protagonista, Cécile, cominciano proprio da lì. Il lato forse più apprezzabile del romanzo è l'ironia con cui, nel 1848, erano descritti gli ambienti nobiliari e i personaggi che li animavano: gli stereotipati poeti, rampolli del 'beau monde' accanto a caratterizzazioni sottili, anche se mai profonde, di tipi femminili, analizzati proprio in quanto tali. Le strategie, i modi di fare, i discorsi, i rapporti familiari e mondani sono i soliti, ma visti, raccontati e interpretati da una donna. Il finale, a sorpresa, non manca di suspense: la sensale di matrimoni resterà beffata. La compitezza della pigra società nobiliare avrà la meglio e un'ultima sequenza di versi-sogno sigla la fine della narrazione.
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