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Anno edizione: 2015
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Secondo Laura Tappatà, docente di psicologia, "non riuscire a perdonare l'imperdonabile non è espressione di fragilità ma consapevolezza della sofferenza provata, ascolto della rabbia e accoglienza della propria natura, del nostro destino che ci vede nascere innocenti, non necessariamente buoni". Il dono del rancore è un minuscolo libro che prende le distanze dalla tradizione cristiana del "perdonismo" buonista, consolatorio e fasullo. L'autrice tuttavia rimescola le carte anche dal punto di vista della psicologia. Infatti, se il perdono viene spesso utilizzato nella psicoterapia per il trattamento della rabbia e degli stati conflittuali, Tappatà mette in dubbio che perdonare sia sempre e comunque vantaggioso. Certo, "il termine rancore evoca il lamento, il tormento, la rancidità con il suo odore disgustoso e acre", pertanto sembra fisiologicamente sano rigettarlo. Ma la teoria molto stimolante avanzata dall'autrice è questa: il dolore produce conoscenza su noi stessi e sul significato stesso dell'esistenza. Non si tratta di un elogio del masochismo, ma di una riflessione sulla capacità (o meglio, sulla competenza) emotiva che abbiamo di trasformare la rabbia in energia costruttiva. Tanto il perdono quanto l'impossibilità del perdono hanno pertanto la stessa dignità, purché inducano consapevolezza e maggiore capacità di riconoscere i propri sentimenti, le proprie passioni, aspetti poco conosciuti di sé. Anche la ruminazione, che di solito viene considerata negativamente in quanto ossessiva, può essere utilizzata in modo costruttivo, nell'ottica di migliorarsi. Una lettura agile per chi vuole riflettere sul significato del rancore come dono e sugli aspetti positivi della rabbia.
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