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Opera deliziosa che non fa rimpiangere le tante che il grande seduttore ha ispirato. Sono lieta che la curiosità mi abbia spinto a leggerla.
Pur trovandosi a disagio nello scrivere un libretto d'opera, Saramago riesce ad aprire uno spazio di riscatto per il don giovanni.E seppur tra tante frasi insipide e battute ammiccanti il lettore riesce a percepire lo spessore morale di un personaggio da sempre destinato da sempre all'inferno per essersi beffato delle convenzioni sociali della borghesia(Della quale degno rappresentante è il simularcro del commendatore).Tuttavia gli altri personaggi restano in sordina ripetto al protagonista ed i loro interventi sembra servano soltanto a riempire gli spazi vuoti. L'opera rimane nel compleso mediocre, i giudizi superficiali, la trama lenta.Ed il finale che dovrebbe assolvere Don Giovanni, lo rende invece un personaggio degno dei peggiori romanzi rosa, e piuttosto che giustificare le sue azioni, ripone con delicatezza tra le fila dei "buoni" il trasgressivo seduttore.Lascia trasparire una garbata ironia il povero Masetto, che con il suo tormentone ogni tanto fa capolino sulla scena, ma per il resto la vicenda si svolge lentamente. Un libretto modesto dunque quello del vecchio Portoghese, come modeste sono le intenzioni.E per aver scomodato tutti i grandi autori che prima di lui avevano descritto il "burlador" l'autore chiede l'assoluzione, che non possiamo non concedere ad un grande come Saramago
Recensioni
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La scrittura inaspettata che Saramago ci ha insegnato ad amare in quelle improvvise esplosioni illuminanti dei ribaltamenti di prospettiva, dei rovesciamenti della morale tradizionale, degli sconvolgimenti della classica simbologia letteraria e delle inversioni di rotta dell'immaginario culturale collettivo mostra ancora tutta la sua freschezza e originalità in questa sua ultima opera, atto unico per musica che, adattamento, contaminazione, rifacimento, riscrittura o rivisitazione che sia della nota vicenda del "burlador de Sevilla" della versione Da Ponte - Mozart, non può non sorprendere per l'innovativa risignificazione dei contenuti, chiaramente anti-kierkegaardiana e anti-hegeliana.
Il libretto che Azio Corghi ha musicato, e la cui direzione è stata affidata al maestro Muti per il Teatro alla Scala, è tutto risolto in quell'assoluzione che il titolo subito preannuncia, in un'immediata presa di distanza dalla punibilità che Da Ponte aveva previsto per il protagonista e in controtendenza rispetto all'immagine nota del don Giovanni individualista e tracotante violatore di quell'assetto etico-morale che presupponeva il rispetto del limite (la monogamia) e dell'inattaccabilità del regno dei morti (la statua del Commendatore), com'era nella visione di Hegel. Lontana, inoltre, dall'idea del seduttore dionisiaco che nasconde, con il rinnovarsi delle conquiste amorose, lo spettro della morte e che oppone così all'etica l'estetica, alla ragione i sensi, al pensiero il desiderio, al conseguimento l'azione, all'apatia mortifera della misura l'impeto vitale dell'hybris, com'era invece in Kierkegaard.
Il don Giovanni di Saramago è allora più vicino all'interpretazione hoffmaniana di un uomo cacciatore, che solo l'idea di un rinnovarsi continuo dell'atto riproduttivo potrebbe placare, perché in balia di una nostalgia esistenziale che pur si risolve, infine, in tragedia: ideale che l'autore lusitano descrive in una didascalia come contrapposizione "fra il piacere del ricordo e la malinconia del passato". E, tuttavia, in Saramago c'è di più. C'è l'antitesi della sconfitta morale, commutata in una più umana confusione esistenziale; c'è la negazione del vigore fisico giovanile che il protagonista dapontiano esprimeva anche con la vitalità della pulsione di morte, trasformata qui in un don Giovanni "che si sta facendo vecchio"; c'è l'idea di un mondo dei vivi sepolcrale, dal momento che "è più la gente che si trova sottoterra di quella che su di essa ancora si agita, mangia, dorme e fornica"; c'è la redenzione del conquistatore semplicemente attraverso "il disprezzo degli onesti", l'umiliazione pubblica che sostituisce la cacciata all'inferno; c'è l'influsso postmoderno dell'introduzione anacronistica degli oggetti d'uso comune (gas, microfoni, quotidiani); e c'è, infine, una cappa spessa d'ipocrisia, di doppiezza e di ambiguità che complica e accomuna tutti i personaggi in scena.
Ma quello che più colpisce dell'eroe saramaghiano riscattato è la necessità di proseguire laddove Da Ponte aveva lasciato, in quel mutare la pena nella riabilitazione terrena per mano di una donna, la quale, benché con l'inganno, riesce a rivelare l'impotenza dell'eroe e a demitizzarne la statura fino alla trasformazione in poveruomo, in semplice Giovanni, anzi, direbbero i portoghesi, in un dom joão-ninguém.
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