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Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce - Maurizio Ferraris - copertina
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Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce
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Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce - Maurizio Ferraris - copertina

Descrizione


Questo libro parla di oggetti come i soldi e le opere d'arte, i matrimoni, i divorzi e gli affidi congiunti, gli anni di galera e i mutui, il costo del petrolio e i codici fiscali, il Tribunale di Norimberga e le crisi finanziarie. Sono gli oggetti sociali, cioè le iscrizioni che affollano il nostro mondo decidendo se saremo felici o infelici. Queste scartoffie le detestiamo eppure facciamo la fila per averle, e si accumulano nelle nostre tasche, nei portafogli, nei cassetti, nei telefonini, nei computer e negli archivi di ogni sorta che ci circondano, nel mondo reale e in quello virtuale. Ecco il motivo per cui questa teoria del mondo sociale si intitola "Documentalità": la società della comunicazione è in realtà una società della registrazione e della iscrizione. Lo è sempre stata, ma lo è a maggior ragione oggi, con l'esplosione della scrittura e degli strumenti di registrazione, che svela come meglio non si potrebbe l'essenza del mondo sociale. Un mondo in cui persino i media, quelli che dovrebbero darti la vita in diretta, sono i massimi produttori di spettralità. Un mondo in cui la profezia di Warhol secondo cui un giorno ognuno di noi avrà i suoi quindici minuti di notorietà significa anzitutto: ognuno di noi sarà uno spettro per almeno quindici minuti, su YouTube o da qualche altra parte.
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Dettagli

2
2009
12 novembre 2009
XV-429 p., Brossura
9788842091066

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ugo bessi
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Questo libro fa venire in mente Lord Byron: "'Tis pleasant, sure, to see one's name in print;/a book's a book, although there's nothing in it". Oggi la filosofia sembra diventata lo scudo fiscale dell'ignoranza.

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Voce della critica

Un pensiero forte sul testualismo debole: così potrebbe essere definito Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce, se a lettura conclusa l'idea che ci si è fatta è che il suo autore non rinunci a occuparsi di fondamenti ed essenze – la documentalità in questione è l'essenza stessa della società in cui non solo da oggi viviamo, la società della registrazione, prima che della comunicazione – e se ne occupi al fine di ridurre la forza del testualismo derridiano ("nulla esiste al di fuori del testo") inserendovi un corsivo: "Nulla di sociale esiste al di fuori del testo". Una riduzione che contribuisce peraltro a rafforzare non poco le prospettive di chi, sociologo, proprio l'identità testuale del sociale metta al centro della propria osservazione, nella prospettiva di identificarne il "senso". A differenza di altri precedenti filosofici – penso a Winch (The Idea of a Social Science and its Relation to Philosophy, 1958) e a Searle (The Construction of Social Reality, 1995)– il libro di Ferraris non si rivolge direttamente al sociologo; ma di un silenzio assai eloquente si tratta, in questo caso, tanta è la forza con cui la sociologia nel suo insieme è invitata a entrare in gioco.
Documentalità si apre con una citazione di Mallarmé (Ton acte toujours s'applique à du papier, car méditer, sans traces, devient évanescent), e le 416 pagine che la seguono ne sviluppano le premesse e la portata in tutte le direzioni, a partire dalla presentazione di un "catalogo di tutto ciò che c'è nel mondo" – soggetti e oggetti; oggetti naturali, ideali e sociali – fino alla conclusione, incentrata sulle forme in cui testualmente si esprime l'unicità di ogni singolo individuo, il suo "stile", la sua "firma". Il paesaggio è smisuratamente ampio, ma il lettore non vi si perde, puntuali essendo le segnalazioni che ne orientano il cammino (dalle iniziali Istruzioni per l'uso alle Undici tesi concentrate nell'epilogo), né cade preda di una seriosità eccessiva, trattenuto com'è da frequenti ammiccamenti ironici, fin dal titolo della premessa, Matrimoni e anni di galera.
A differenza degli oggetti naturali e ideali, gli oggetti sociali "stanno nello spazio e nel tempo dipendentemente dai soggetti", esistono cioè soltanto in quanto registrati, oltre che prodotti, entro la società minima costituita da almeno due persone. Da qui la loro regola costitutiva: "Oggetto = Atto Iscritto". Pensare di donare non è donare; nessuno può con la mano destra donare denaro alla mano sinistra, può soltanto trasferirvelo; l'atto linguistico della donazione è a sua volta tale, performativamente felice, soltanto quando le parole del donante siano registrate, anche soltanto "nella sua testa", dal donatario. Ciò che fa del mio atto linguistico un oggetto sociale, non un semplice flatus vocis, è questa stessa registrazione: l'altrui riconoscimento è costitutivo della mia stessa identità. La portata di tale regola è generale: la registrazione, quali ne siano l'oggetto, la forma e la portata (dalla chiacchiera quotidiana alla dichiarazione di guerra, dal fugace ricordo all'atto notarile), è condizione di possibilità della comunicazione. Ciò non dice ancora nulla del senso che ogni comunicazione sempre assume nel suo svolgersi – non è questo l'obiettivo di Ferraris –, ma indica il luogo in cui cercarlo: non nelle teste ma nei testi, non nello "spirito" ma nella "lettera", non nel "Modello Geist" ma nel "Modello doc.". Ora è precisamente di un Modello doc. che anche il sociologo deve disporre per costruire concettualmente i "motivi" dell'attore, al cui interno risiede il senso dell'agire, come vocabolari culturali da leggere, non come molle psichiche da inferire. È la via inizialmente aperta da Weber, successivamente esplicitata nei suoi termini "grammaticali" da Wright Mills (Situated Actions and Vocabularies of Motive, 1940) e in anni più recenti ancora riproposta come innovativa nella sociologia epistemica di Coulter (Mind in Action, 1989). Una via per nulla affollata, ancora oggi, e che il libro di Ferraris può contribuire a popolare.
Conclude l'ontologia degli oggetti sociali l'esame delle forme documentali – lo stile, la firma – in cui si manifesta la nostra "individualità assoluta". La nostra unicità consiste in un'eccezionalità negativa, sta in un qualche nostro "difetto di fabbricazione", proprio così come l'unicità della nostra firma consiste nel discostarsi, tanto o poco, dalla norma calligrafica; e proprio così come l'unico modo per essere amati è di "farci amare per i nostri difetti, visto che i nostri (eventuali) meriti ci rendono simili a mille altri". È con questa convinzione, "anzi, con questo auspicio", così conclude Ferraris passando alla prima persona, "che mi congedo da chi ha avuto la pazienza di leggermi". Un congedo che ha tutta l'aria di essere una firma: una mossa che fa entrare il lettore direttamente in scena, lo posiziona nel posto del "tu", avendo l'autore occupato il posto dell'"io": il posto della presenza, o della firma, appunto.
Andrea Sormano

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Conosci l'autore

Maurizio Ferraris

1956, Torino

Filosofo italiano. È professore ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Torino, dove dirige il LabOnt (Laboratorio di ontologia). Editorialista di "La Repubblica", è inoltre direttore della "Rivista di Estetica", condirettore di "Critique" e della "Revue francophone d’esthétique". Fellow della Italian Academy for Advanced Studies (New York), della Alexander von Humboldt-Stiftung e del Käte Hamburger Kolleg "Recht als Kultur" di Bonn, Directeur d’études al Collège International de Philosophie, visiting professor alla Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi e in altre università europee e americane. Ha scritto una cinquantina di libri tradotti in varie lingue. Tra i più recenti, segnaliamo...

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