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Anno edizione: 1985
Anno edizione: 2012
Anno edizione: 2012
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Ultimo romanzo di Morselli, di pochi mesi precedente la sua tragica scomparsa, Dissipatio H.G. (dove H.G. sta per Humani Generis) è anche il suo libro più personale e segreto, l’unico dove questo maestro del mimetismo ha scelto di porsi direttamente sulla scena. E lo ha fatto in modo così illuminante ed emblematico da far pensare a una confessione che valga da consapevole gesto di congedo.
Il protagonista di Dissipatio H.G., uomo lucidissimo, ironico, ipocondriaco, e soprattutto ‘fobantropo’, attirato da un feroce solipsismo, decide di annegarsi in uno strano laghetto in fondo a una caverna, in montagna. Ma all’ultimo momento cambia idea e torna indietro. Il genere umano, proprio in quel breve intervallo, è scomparso, volatilizzato. Per il resto, tutto è rimasto intatto. Così, paradossalmente, l’umanità è ora rappresentata da un singolo che era sul punto di abbandonarla e che, comunque, non si sente adatto a rappresentare alcunché; neppure, a tratti, se stesso. Comincia allora un appassionante monologo, sullo sfondo della solitudine assoluta e di un silenzio rotto soltanto da qualche voce di animale o dal ronzio di macchine che continuano a funzionare. Ed è un monologo che presto si trasforma in un dialogo con tutti i morti, tenuto da un unico vivo che a momenti pensa di essere anch’egli morto. Riaffiorano spezzoni di ricordi, particolari sepolti riemergono come decisivi e, mentre i pensieri si affollano, l’anonimo protagonista cerca dappertutto un qualche altro sopravvissuto, vaga fra luoghi odiati e amati, fra le sue montagne e Crisopoli (chiaramente Zurigo). Tutto è uguale, eppure tutto è per sempre trasformato. Il mondo è ora popolato soltanto da «oggetti vicini e irraggiungibili, noti e irriconoscibili, sfigurati». Ma non è certo un mondo innaturale: anzi il sopravvissuto è spesso sfiorato dal sospetto che proprio in questa forma di sterminato magazzino e indifferente sepolcro esso raggiunga, in certo modo, la sua verità. Rimane, comunque, il gigantesco interrogativo sul destino degli scomparsi. Che l’umanità sia stata «angelicata in massa»? O si tratti di una inaudita migrazione turistica collettiva? O di una silenziosa apocalisse? E l’unico sopravvissuto è un prescelto o, proprio lui, il condannato?
Morselli ci fa attraversare con mirabile sottigliezza tutte le reazioni del sopravvissuto, che vanno da una sinistra ironia e, quasi, euforia, alla «superbia solipsistica», finché a poco a poco si fa strada in lui un’angoscia senza confini. E, mentre il delirio lievemente corrompe ogni residua certezza, il protagonista si abbandona a cercare le improbabili tracce di un amico dimenticato, unico ricordo di rapporto reale che gli resti della sua vita precedente. C’è qualcosa di disperato e, insieme, di sereno in queste pagine, fra le più belle di tutto Morselli – e certo le sole in cui accetti di far trasparire la sua dura pena personale. E c’è, alla fine, una grande immagine in cui convivono, pacificati, tutto e il contrario di tutto: nelle strade deserte di Crisopoli-Zurigo, coperte ormai da uno strato leggero di terriccio, crescono piantine selvatiche. Nel Mercato dei Mercati spuntano, ignari, i ranuncoli e la cicoria. E l’ultimo uomo, che già era stato del tutto solitario fra gli uomini, siede e aspetta.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Un opera inquietante e affascinante, scritta in uno stile raffinato e lucidissimo. Inevitabile il collegamento con il suicidio dell'autore, del quale sembra quasi una sorta di studio/elaborazione preliminare: e' il protagonista l'unico sopravvissuto o quello intorno a lui e' l'aldila' risultato del suo ultimo gesto?
Sono spiacente di abbassare una media altissima, ma, certo per limiti miei, pur avendo molto apprezzato la capacità e lo stile di scrittura, non sono riuscito a gustare fino in fondo questo lavoro di Morselli. Come, del resto, tutte le opere che si rivolgono ad élite intelletuali, di cui non faccio parte come non fa parte la stragrande maggioranza dei lettori. Definireste altrimenti da intelletualistici passaggi (frequenti) quali: "Dalla quale rabelesiana abbondanza di locuzioni, risulterebbe appurato che la psicologia o psicodiagnostica, con le associate discipline, non era soltanto una operosa industria clinico-culturale. Era oltretutto, o anzitutto, una densa concrezione linguistico-letteraria, un edificio di tropi e traslati (poco allegri), e in ciò si rivelava una delle eredi legittime della retorica." (cap. IX)? E poi, di converso, come non lasciarsi emotivamente coinvolgere (pensando anche al prossimo suicidio dell'autore) dalla pura poesia di perle (incastonate e ricorrenti) quali "E' che sono solo. Il mondo sono io, e io sono stanco di questo mondo, di questo io." (cap.XVIII)? Ecco, proprio questa discrasia sta alla base del mio giudizio.
capolavoro da leggere
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