La causa dell'unità europea era stata tradita da un errore di fondo: aver creduto che potesse essere il risultato di una "sensibilità economica", come Benda scriveva in questo pamphlet uscito alla vigilia del tragico 1933 e oggi riproposto in chiave attualizzante, se non profetica. Il primato di qualsiasi pur politico progetto spettava all'azione morale, che "deve trascendere i fenomeni economici, anche se da questi sollecitata". Quindi la bestia nera da sconfiggere era il nazionalismo. E ai docenti francesi raccomandava di predicare "la cultura greco-romana", antidoto formidabile per affratellare i popoli in una regione dello spirito che trascendesse le angustie nazionali. Se era necessaria una lingua da condividere per comunicare e dialogare, questa non poteva che essere una lingua supernazionale, non da creare artificiosamente, ma bell'e pronta, chiara e in grado di rappresentare il corso dei pensieri con razionalità: la lingua francese. Sull'altare di un supremo obiettivo di solidale convergenza ogni culto dell'invenzione e dell'originalità doveva essere sacrificato: "Voi dovrete mettere precisa Benda il critico più in alto dell'artista, il giudizio più in alto dell'atto, la ragione più in alto del genio". Sarebbe sorto da questo disseccamento ascetico delle passioni, "frutto di un intimo travaglio" e approdo di un percorso di rinunce, un irenismo fondato non sulle sottigliezze della diplomazia, ma sul rifiuto dell'egoismo sacralizzato per contingenti motivazioni politiche. L'ideale europeo sarebbe stato meno possessivo del furore agonistico che imperversava tra le nazioni: e alimentato da una fedeltà più "incorporea" di quella che avvinghiava al patrio suolo. Benda tentava così di arginare con astrazioni spiritualistiche i concreti fattori di una crisi giunta ormai al limite. Roberto Barzanti
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