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Carducci divenne senatore nel dicembre 1890, all'età di cinquantacinque anni e in virtù dei "servigi e meriti eminenti" spesi per illustrare la patria. Lungi dal costituire uno scontato omaggio alla carriera, la sua nomina testimonia della particolare congiuntura vissuta dal paese nel decennio terminale dell'Ottocento: "tra Crispi e la regina", sintetizza Roberto Balzani nel saggio introduttivo al volume, a sottolineare come l'attribuzione del laticlavio al vate della Terza Italia debba essere posta in relazione, da un lato, alla funzione a questi attribuita nel disegno di nazionalizzazione promosso dallo statista di Ribera, dall'altro lato, al favore che l'ufficial-nazionalismo dinastico veicolato dalle ultime opere del corpus carducciano aveva cominciato a ottenere negli ambienti di corte. La contiguità con la compagine governativa, tuttavia, non favorì a lungo il neosenatore, che a qualche mese dall'entrata nella Camera alta dovette confrontarsi con il mutamento di clima provocato dalla caduta del secondo ministero Crispi (febbraio 1891) e dalla contestazione studentesca (marzo 1891) destinata ad alienargli le simpatie delle giovani generazioni. A complicare il tutto, la diffidenza che a Carducci ispirarono lo stile e i ritmi di vita della capitale: oscillando tra le grandi idealità morali e le questioni tecniche e locali, gli otto discorsi pronunciati in Senato tra il 1892 e il 1899 ci parlano del difficile andamento di un'attività parlamentare profondamente influenzata dalle alterne fortune della politica crispina e, al tempo stesso, del rigore con cui il primo letterato della penisola si impegnò a rappresentare, anche nelle aule di Palazzo Madama, il ruolo di "tutore dell' ideologia italiana ".
Maddalena Carli
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