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Smemorati e stupratori. Pirandelliana di ottima annata
di Ivan Pupo
Il tema dell’amnesia in una veste seria e tragica, ben distinguibile da quello antico dell’oblio, appartiene esclusivamente al Novecento (prima non esisteva) e, almeno all’inizio, si impone come tratto tipico del modernismo. È questa la tesi sostenuta con rigore da Riccardo Castellana in uno dei capitoli più stimolanti della sua recente monografia pirandelliana. Il lettore non deve dare per scontata la distinzione tra amnesia ed oblio, perché proprio su questo verte principalmente il dissenso di Castellana nei confronti del libro di Harald Weinrich, Lete (1997, il Mulino 1999), in cui i due concetti sono posti in una linea di sostanziale continuità. Se Weinrich afferma che le «guerre sono orge dell’oblio» e poi, subito dopo, si propone, tra i suoi obiettivi, quello di mostrare come Giraudoux, a ridosso della Grande Guerra, si confronti con la «problematica dell’amnesia», il suo intelligente detrattore sgombra il campo da ogni possibile confusione, ponendo l’accento sulle cesure e sulle differenze.
Regalando agli eroi una vacanza-premio dai loro doveri o costituendo il presupposto per la conoscenza del mondo e di Dio, non mettendo comunque mai in discussione l’identità piena del soggetto, l’oblio presso gli antichi non è mai vissuto in modo negativo o angoscioso. Provocata da un trauma, per lo più riconducibile alla sindrome post-traumatica del reduce di guerra, vissuta come amputazione dell’essere ed espropriazione dell’identità, l’amnesia primonovecentesca è invece immancabilmente fonte di turbamento e di angoscia. Nella vita reale, come in letteratura. In quest’ultimo ambito spiccano alcuni drammi – Siegfried di Giraudoux, Come tu mi vuoi di Pirandello, Le Voyageur sans bagage di Anouilh – che, secondo Castellana, meritano attenzione non tanto perché documentano realtà storiche contingenti (i casi di amnesici realmente accaduti su cui la stampa quotidiana punta i riflettori; da noi il celebre caso dello smemorato di Collegno), ma perché si affida loro il compito di rappresentare allegoricamente la crisi d’identità dell’uomo moderno. L’assunto si pone esplicitamente sotto un’insegna benjaminiana: il nostro studioso ha in mente il passo del Narratore (1936) in cui il reduce dal fronte, «ammutolito», «povero di esperienza comunicabile», diventa cifra della moderna crisi dell’esperienza tout court (nel rispetto della filologia, emblema dell’Erlebnis contrapposta all’Erfahrung). Analogamente il trauma bellico, «non solo non detto e non comunicato, ma addirittura non ricordato», si fa nei drammi (ma anche nei racconti) d’amnesia entre-deux-guerres allegoria o sineddoche dello spezzarsi del filo che legava l’uomo moderno alla tradizione (ovvero all’esperienza depositatasi nella memoria collettiva), quindi del frantumarsi del soggetto, del suo essere uno, nessuno e centomila.
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