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scheda di Canavese, E. L'Indice del 2000, n. 11
Secondo Tocqueville, "le repubbliche democratiche rendono il dispotismo superfluo, perché è la maggioranza che stringe un formidabile laccio intorno al pensiero". L'antico problema della tirannia delle opinioni della maggioranza, i rischi delle "menzogne mediatiche" e delle falsificazioni scientifiche rese possibili dai pervasivi, moderni mezzi di comunicazione, stimolano oggi le riflessioni di uno dei maggiori costituzionalisti tedeschi, Peter Haberle, sul rapporto tra Stato costituzionale e verità. Se i regimi totalitari fondano la loro forza su verità preordinate e monopoli dell'informazione, lo Stato costituzionale moderno è, innanzitutto nelle sue premesse filosofiche e culturali, un "forum della ricerca della verità": ai dogmi delle ideologie di Stato contrappone la libera circolazione delle idee. Lo Stato costituzionale si fonda quindi "su verità provvisorie, rivedibili, che assume in linea di principio al plurale e non al singolare e per decreto". La stessa sopravvivenza dello Stato democratico presuppone tuttavia la condivisione da parte di tutti i cittadini di alcuni valori fondamentali, di alcune "verità giuridiche" irrinunciabili (quali la dignità dell'uomo, la libertà, la tolleranza), e richiede a tal fine la predisposizione di meccanismi che siano in grado di prevenire le menzogne pubbliche, la frode collettiva, senza soffocare "il libero mercato delle idee". Quale il punto di equilibrio, s'interroga Haberle? Una domanda affascinante e attuale: impegnati nella sofferta e difficile costruzione di una democrazia pluralistica, diversi sistemi politici - i paesi dell'Europa orientale e dell'America centrale, il Sud Africa - s'interrogano oggi sul loro passato e istituiscono "commissioni per la verità"; e anche in Italia problemi di rielaborazione del recente passato e di strutturazione dei mezzi di informazione sono all'ordine del giorno.
Emanuele Canavese
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