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Punire senza legge, senza verità, senza colpa è il sottotitolo del libro e l’autore dimostra la sua esattezza, aggiungendo che si può addirittura acquisire un diritto avendo commesso un reato, come è il caso di chi, avendo occupato abusivamente un’abitazione, non solo non è stato punito, ma è stato fatto sloggiare solo dopo aver ottenuto un altro alloggio. Partendo dalla constatazione che l’identificazione fra diritto penale e legge è ormai tramontata, per cui prevalgono le interpretazioni della legge, anche fantasiose, da parte dei giudici, l’autore giunge alle sue conclusioni passando attraverso una serie di esempi, fra i quali l’inversione della prova (non sono più il PM o il giudice che devono dimostrare la colpa dell’imputato. ma è l’imputato, oggetto anche solo di un sospetto, che deve provare di non essere colpevole), la “condotta impropria”, per cui un fatto che per la legge non costituisce assolutamente reato lo può diventare se ha urtato la suscettibilità di qualcuno, il fatto che I giudici spesso non danno credito alla scienza, ma danno ascolto alle frange più chiassose (vedi ad esempio il caso stamina), i sequestri di aziende, impianti, immobili, ecc. decisi dalla magistratura sulla base di parametri ampiamente discrezionali e talvolta del tutto arbitrari, senza preoccuparsi di danneggiare in tal modo anche terzi del tutto incolpevoli. Molti altri sarebbero da citare, ma per questo vale la pena di leggere l’agile libretto. Le conclusioni dell’autore: “nel contesto del diritto penale totale il cittadino si presenta solitamente inerme e con scarso potere difensivo”, “l’intervento penale assume la funzione di legittimare interventi aventi natura di amministrazione e di governo e ispirati all’opportunità politica”, “una giustizia che si avvale dell’apparato provvedimentale della magistratura per mirare a governare concretamente l’economia e la pubblica amministrazione”appaiono particolarmente preoccupanti per chi ha letto “Il sistema” di Sallusti e Palamara
libro agile, comprensibile anche ai non addetti ai lavori, che illustra in modo chiarissimo la deriva culturale in cui stiamo sprofondando, con il panpenalismo e il populismo penale a farla da padroni e l'invocazione costante dell'intervento repressivo e delle manette facili come soluzione salvifica ai tanti mali che affliggono la società
Il diritto penale ha assunto un rilievo speciale: è diventato diritto “totale”. Totale perché si crede che esso possa rimediare ad ogni ingiustizia e ad ogni male; totale perché nessuna condotta è estranea alla sua area di operatività; totale perché il diritto di punire può ormai essere esercitato in un arco di tempo pressoché indefinito, come accadeva negli antichi tribunali episcopali. Ciò accade per impulso di una pluralità di fattori: molteplicità delle fonti normative (sovranazionali, nazionali, regionali, di Authorities, ecc.); peso crescente della interpretazione giurisprudenziale sulla norma generale e astratta (il che svincola il diritto penale dal testo formale della legge); incidenza sull’azione penale di paradigmi vincolati alle concezioni socialmente dominanti su ciò che è giusto. L’etica pubblica (per sua natura mobile, storicamente condizionata, pluralista e dunque foriera d’incertezza) si trasforma in diritto penale. Ciò ha delle conseguenze: muta, ad esempio, la definizione delle condotte (la condotta “impropria” sostituisce il fatto tipico nel sistema penale); la tipicità del reato può essere reinterpretata post factum e dunque essere postuma; la stessa percezione di un reato (ad es. una condotta neutra percepita come offensiva) diventa fonte di tipicità penale; il contesto in cui si colloca una condotta acquista un rilievo maggiore della condotta stessa. Il sistema penale cede il passo a sistemi penali territorialmente differenziati, in cui si può punire “senza verità e senza colpa”, sacrificando la certezza nei rapporti giuridico-sociali. L’azione penale può finanche diventare base di legittimazione di scelte di opportunità politica. Il giudice diventa “politico”, quando colma l’indecisionismo della politica e svolge una funzione di supplenza. Il libro di Sgubbi è snello ma concettualmente molto denso ed è un piccolo manifesto del diritto penale liberale. Una lettura obbligata, specie per quanti hanno a cuore il tema delle garanzie penalistiche.
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