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Lettura psicologica dell'urbanesimo, testo consigliato
Ho scoperto Lefebvre studiando le sue opere all'Università. È uno degli autori che più apprezzo nel campo della sociologia.
"Il diritto alla città" spezza una lancia in favore dell'intervento dello psicologo nella pianificazione delle città. Per il razionalismo urbanistico l'uomo è una costante da tener presente nei calcoli, non un fine. L'autore mostra come l'uomo abbia bisogno di vedere soddisfatta nel suo ambiente immediato una duplice esigenza: quella di potersi isolare e quella di avere rapporti sociali spontanei, non astratti, con i familiari ed i vicini. L'urbanistica moderna sembra ignorare entrambi questi bisogni, rendendo impossibile sia ripiegarsi su se stessi, sia avere una vera esperienza del prossimo: sia l'introversione sia l'estroversione che non sia puramente aggressiva. Aumenta così pericolosamente il potenziale psichico distruttivo dell'umanità. Per porre termine a questa situazione, l'intervento dello psicologo è necessario, ma non per essere risolutivo se non incide al contempo nei rapporti di proprietà. Le grandi civiltà urbane cui "il diritto alle città" guarda con coperta nostalgia furono create da collettività che imponevano spontaneamente un limite all'arbitrio dei singoli. Un'analisi marxista del filosofo francese Henri Lefebvre che fa il paio con l'analisi che venne a suo tempo offerta dalla cosiddetta "Scuola di Francoforte", una scuola filosofica e sociologica neomarxista, ove anche Alexander Mitscherlich in qualità di ordinario di psicologia sociale e medicina psicosomatica mostrava la sua attenzione essenzialmente rivolta verso i problemi psicologici della società occidentale avanzata e senza padre- ampiamente descritta- che si evolveva verso e nella direzione della più recente società (forse per molti ancora oggi utopica) dei fratelli. Che poi è, in sostanza ed alla fine dei conti, esattamente la stessa cosa.
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