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Dilemmi dell'educazione nella società acentrica
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1997
1 aprile 1997
216 p.
9788839204165

Voce della critica


recensione di Vitale, S., L'Indice 1998, n. 6

"Se una data esperienza non introduce in un campo non ancora familiare non sorgono problemi, i problemi difatti sono lo stimolo a pensare". Questa frase del Dewey di "Esperienza ed educazione" chiude il libro di Nando Filograsso e ne indica il senso ultimo, che, d'altra parte, risuona già nel titolo: l'educazione (ma anche la filosofia, la scienza, l'intera cultura) dovrebbe configurarsi come processo di comprensione della struttura dilemmatica profonda della realtà. Il paradosso, la compresenza di elementi opposti, l'ambivalenza (da non confondere con l'ambiguità) sono inevitabili. Allora coraggio: ragionare per problemi e ritentare uno sforzo teoretico, anche in pedagogia, non è inutile. Specie se la società è, appunto, "acentrica". "Acentrica", ci dice l'autore, non indica il destino caotico della nostra società "complessa". Acentrica è la società che non ha più un unico centro, ma una pluralità di riferimenti. E, sin qui, nulla di nuovo. Il problema vero è controllare questa frammentazione: per Filograsso occorre far comunicare tra loro questi punti per "progettare una cultura" (qui Morin è un riferimento esplicito). E l'educazione ha, di nuovo, un ruolo importante da giocare.
Prima di tutto occorre riconoscere la "stretta affinità tra sviluppo biologico e processo cognitivo": tutti gli organismi viventi sono sistemi aperti che procedono a zig-zag (Filograsso cita Laborit, Lorenz, Varela, Bateson e Piaget) in forza anche di una propria creatività che si oppone a tutto ciò che è "meccanoforme e ripetitivo", ma che non rifiuta i processi adattivi ("un eccesso di novità può uccidere una cultura").
Poi occorre non dimenticare che una società acentrica è pur sempre "una" società. La polverizzazione del sociale che, in educazione, è stata celebrata dal comportamentismo skinneriano e da alcuni funzionalisti, non è per Filograsso accettabile. La destrutturazione della società complessa non comporta la fine della società come "campo" (Bourdieu) di relazioni intersoggettive e di strutture diversificate e connesse. "Conoscere (...) vuol dire (...) creare nuove configurazioni eliminando il superfluo, combinando gli elementi per nessi funzionali, dai quali si genera il senso". È il concetto di senso che Filograsso ritiene si debba assumere come centrale, anche sul piano etico, per non perdere di vista l'emancipazione umana come cornice e contenuto dell'educazione. Non cedere allo schematismo di "certezze scientifiche costruite su troppo fragili fondamenti epistemologici" né alla disgregazione sociale e culturale provocata da un'interpretazione della complessità di stampo postmoderno (i bersagli sono Lyotard e Luhmann). La tesi del libro sembra essere: una società che ha perduto il suo centro deve assumere l'educazione e la sua dialettica dilemmatica per ricongiungere etica e razionalità. Così facendo ci si può salvare da una complessità nevrotica e paralizzante nella sua mistica dell'incertezza, come dallo schematismo comportamentista e cognitivista tutto preso dalla sua ansia di selezione e di esclusione.
Riscoperta del soggetto e della dimensione direttamente sociale dell'educazione sono i due cardini della riflessione di Filograsso. L'impulso alla differenziazione della nostra società non può essere risolto nel concetto di sistema autoreferenziale che esclude il soggetto e rifiuta ogni progetto di costruzione creativa della stessa cultura. Il compito dell'educazione che intende la lezione della complessità è di valorizzare la creatività dell'intelligenza sapendo che essa "non si dirige verso il caos (...) ma tende invece a costruire un ordine, perché è in questo che trova il suo equilibrio, costruendo senso". C'è dunque un preciso impulso etico in questa prospettiva che recupera l'attivismo pedagogico di Dewey e la teoria di Gardner dell'unità della mente nella molteplicità delle intelligenze, coniugandoli con la teoria dell'agire comunicativo di Apel e, soprattutto, di Habermas. L'agire umano, per Filograsso, è mosso da "bisogni concreti, riconducibili tanto alle persone singolarmente considerate, quanto al contesto sociale e culturale". Etica e socialità si ricongiungono con la ragione orientando il soggetto all'agire comunicativo in vista dell'intesa, piuttosto che a un agire "strategico diretto al successo". Far coesistere libertà individuali e senso comunitario: qui Filograsso segue l'"olismo individualista" di Charles Taylor e si scontra con l'individualismo di Savater che approderebbe a un'astratta indifferenza etica. Il libro ha così il merito di affrontare uno dei nodi centrali della teoria etica e politica, ma anche dell'educazione, che non è chiamata a riprodurre la società ma a stare al centro di un processo di trasformazione, anche se appare all'autore - che è lontano da illusioni trionfalistiche - oggi spesso impotente ed emarginata.

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