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Benedette pulci! Non le simpatiche canaglie che si rifugiano sognanti nella boscaglia di un cane, ma quei mondi misteriosi di fiabesca suggestione, di rigatteria romantica, di tavole di compensato massiccio carichi di libri dismessi, abbandonati, spesso si può sapere da chi, ma il più delle volte figli di un giro di mani anonime che svuotano soffitte, di propositi nuovi che spazzino via ogni vecchia annoiata muffa dalle mura familiari, di eredi anni luce distanti da un sentimento amato chissà quanto e come dal proprio parente. Sarò sempre convinto che niente viaggia per caso in certi territori. Io ho amato Jean Anouilh come una costante luce amichevole, la ricchezza del suo teatro tragico e brillante (la sua Antigone è fra le cose più alte del secolo), le aperture delle sue riflessioni. Questo libro, un po' rovinato, viveva nella galera di una cesta e non faceva altro che gridare la propria scomoda solitudine. L'ho tirato fuori e l'ho accarezzato come si sfiora un privilegio; ero io il negletto dei due, la sua presenza ha risolto la giornata. E' una stupenda messe di pagine sulla forza del teatro, sulla grandezza dell'amicizia (i paragrafi dedicati a Brasillach commuovono), i tributi e le lodi a Maestri come Pitoeff ("Ho incontrato solo un genio nella mia vita, era lui), come Louis Jouvet (duro, altero, ma straordinario), come Giradoux ("dolce principe addormentato), o Cocteau ("mi aveva regalato la poesia del teatro"). Ci sono periodi da ricopiare e tenersi stretti come lezioni durevoli; la rarità della Grazia, la differenza delicatissima e analizzata stupendamente fra piacere e cultura: "Ho provato nostalgia nelle soste in galleria fra gli spettatori che occupavano posti 'di second'ordine' mentre ascoltavo la commedia vivere e vibrare nei loro cuori. La cultura sarà sempre la cultura, ma è l'emozione ingenua che suscita il bello nelle anime che mi interessa e mi sconvolge, anche se a loro resta inesplicabile". Un libro che trasuda poesia. Dovunque.
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