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Diario in inverno - Emmanuel Bove - copertina

Dettagli

1990
1 gennaio 2000
181 p.
9788821162305

Voce della critica

BOVE, EMMANUEL, I miei amici

BOVE, EMMANUEL, Diario in inverno

BOVE, EMMANUEL, Armand
recensione di De Agostini, D., L'Indice 1991, n. 6

Le "leggi misteriose" che in Nerval venivano identificate nella sfera del "pensiero", e in Balzac in quella della "carne e del sentimento", e che per il futuro narratore della "Recherche" costituivano il recondito, involontario sostrato unificante della loro opera, avrebbero rappresentato per il 'déracin‚', "scrittore di strada", Emmannel Bove, fonte di riflessione per l'opera che si accingeva a scrivere: "Un romanzo non dovrebbe essere una cosa compiuta, una cosa riuscita in sé: non si dovrebbe cioè poter isolare un romanzo dall'opera del suo autore, come non si può staccare un bel verso da un poema. Un'opera fa parte di un tutto. Balzac e Proust sono riusciti a produrre questa impressione facendo circolare gli stessi personaggi in tutta la loro opera. Non sarebbe possibile ottenere lo stesso risultato senza far ritornare i personaggi, o facendoli ritornare solo incidentalmente? È quello che vorrei fare, se riuscissi a scrivere i libri che desidero".
All'epoca di questa intervista (1928), Bove aveva in realtà già pubblicato quasi un terzo della sua opera complessiva, e, sotto lo pseudonimo di Jean Vallois, alcuni romanzi popolari ("Un lavoro del tutto estraneo a quello dello scrittore - diceva -, come se avessi esercitato un altro mestiere") e aveva anche già "creato" quella figura di vagabondo, antieroe dostoevskijano che, con nomi diversi, ma in situazioni per lo più analoghe, avrebbe costituito il punto a partire dal quale si sarebbe organizzata la sua particolare "visione del mondo", e la sua lucida, disincantata, 'Comédie humaine'. Ciò che "ritorna", in Bove, nella sua scrittura incisiva e "secca" ("L'argomento non conta, ciò che conta è il 'tono'" - annotava nel suo diario), minuziosamente attenta al dettaglio, e proprio per questo capace di produrre effetti non privi di un'ironia spesso straniante, senza alcun legame con l'azione descritta ("Ci fu un silenzio. Ella restò immobile. Le si muovevano soltanto gli occhi, tutti e due insieme"), non è solo la serie degli Armand, Victor, Louis, Albert, Arnold..., tutti accomunati da un'"altalenante scissione tra sforzo volto al conseguimento di un esito e tenace vocazione al fallimento". Ritorna, anche, ciò in cui essi si determinano, l'inazione cui sono sottoposti, e che fa sì che essi siano non solo privi di spessore, ma anche "immobili", o, come dice il titolo di un'opera del regista che a Bove si è ispirato, inscritti nel "falso movimento" di una trama esile, ed esemplare, di cui sono una funzione, e che, circolare come il percorso che essi compiono, ne rispecchia il costante e irrevocabile errare da una condizione di vuoto ad una, altrettanto originaria, condizione di perdita.
Se infatti nell'universo boviano esiste un "movimento", esso si situa nel punto di intersezione tra un romanzo e l'altro, nella linea che li attraversa, e lungo la quale questi personaggi-tipo, ogni volta ripresi, acquisiscono, parallelamente al cammino del loro autore, una dimensione supplementare, come se ogni romanzo iniziasse là dove il precedente si era fermato.
I sei episodi che scandiscono il primo romanzo di Bove, "I miei amici", sono incorniciati entro due zone poste rispettivamente all'inizio e alla fine di un percorso che vede il protagonista, Victor Baton, passare da un "delirio di onnipotenza" ("Ah! se fossi ricco!"), da cui muovono le sue fantasticherie e la sua erranza nella città che ne accoglie e ne respinge il desiderio di mutamento ("Quando esco di casa, penso sempre a un avvenimento che possa sconvolgermi la vita... Sfortunatamente, non si è mai verificato"), a un egotistico ripiegamento su se stesso. Questi sei episodi sono costruiti a immagine della riflessione posta a incipit dell'ultimo di essi: "Preferisco i giardini inglesi ai giardini francesi... Anche se presto ci si ritrova al punto di partenza, per qualche istante si prova la deliziosa sensazione di perdersi". Victor (anticipazione di Armand, protagonista dell'omonimo romanzo, e, specularmente, del suo "amico" Lucien, come del più tormentato, maniacale, Louis, lucido spettatore del proprio fallimento matrimoniale in "Diario in inverno"), - la cui sola ricchezza è un "gruzzolo" di ricordi che tiene gelosamente in serbo per "illuminare" e "colmare" un presente sguarnito - è, in ognuno di essi, costantemente alla ricerca di uscire da se stesso, dalla propria condizione di solitudine, senza mai riuscirvi. Le parole del protagonista del più tardivo "Memorie di un uomo singolare" (1939): "Non ho mai chiesto all'esistenza nulla di straordinario. Ho chiesto una cosa sola. Mi è stata sempre rifiutata. È un posto tra gli uomini, un posto mio, un posto che mi fosse riconosciuto senza invidia perché non avrebbe nulla di invidiabile", sono le stesse di Victor: "La solitudine mi pesa. Vorrei avere un amico, un vero amico. Non ha mai risposto nessuno al mio amore. Chiedo solo di amare, di avere degli amici, e resto sempre solo", di Armand: "Era così triste che nessuno mi capisse. Tutto l'interesse che dimostravo non suscitava che indifferenza", e di Louis: "Non c'è uomo più abbandonato, più infelice di me. Eppure, se c'è in me, come in tutti, una grande sete di amore, c'è anche, ed è questo che mi rattrista di più, una profonda impossibilità di piacere, di essere amato. La mia vita non sarà stata che una serie di abbandoni".
"L'amore più esclusivo per una persona è sempre amore di qualcos'altro", osservava Proust quando, pensando alle "fanciulle in fiore", si accorge di amare, in loro, "le ondulazioni montuose e azzurre del mare, il profilo d'una sfilata sullo sfondo del mare": ed è, di conseguenza, amore di qualcosa che non si possiede, e che, attraverso l'altro, si desidera ottenere; o ancora, amore per quello che non si è e che, nella fusione con l'altro, idealizzato a specchio dei nostri desideri, si desidera essere. Ne è consapevole Baton, con la sua nevrotica, ostinata impossibilità di essere "per l'altro", il suo desiderio "mimetico" che si fissa di volta in volta su chi, opposto e complementare ("Basso, magro e nervoso, era simpatico a uno come me, alto, sentimentale e indolente") in un primo tempo gli sembra poter costituire il punto di partenza per realizzare una vita diversa da quella "qualsiasi" che gli è dato vivere, e poi, con un brusco rovesciamento, il pretesto per ritornare nel proprio universo "mancato". Muovendo nell'altro di volta in volta la gratitudine, la compassione, l'interesse, la seduzione, la protezione, l'uomo "qualsiasi" in cui Victor si identifica, ma che cancella per attrarre l'amico "ritrovato", è la ragione grazie alla quale l'altro è a sua volta cancellato: "Lui era amato, ricco, e felice. Non avremmo potuto intenderci. Non gli interessavo". Ne è consapevole Armand, e lo stesso Louis, che, pure, ha realizzato ciò di cui Victor era alla ricerca, e che Armand, dopo una breve parentesi di vita, aveva perduto: una vita "realizzata" secondo quei modelli - e quelle leggi - che di fatto non gli appartengono, e che, di conseguenza, non desidera, ma che ha costruito per "quel bisogno di possedere ciò che hanno gli altri", per la "necessità di imitare tutti quelli che invidiava". Louis, compagno di una donna che si illudeva di amare, e che aveva sposato per "imitare il padre" e per ottenere quell'autorità familiare che questi possedeva, circondato da amici - brevi comparse, che ruotano intorno a una vicenda filtrata dall'analisi spietata e crudele della penna del protagonista -, non colma un vuoto interiore incapace di dare all'altro quello che chiede per sé ("Nessuno è consapevole delle nostre disgrazie, se non noi stessi": "Avevo capito che non è facile sapere quello che vogliamo", dirà l'"uomo singolare", "Di colpo ci si accorge che non si vive affatto come si voleva ma proprio come prima", dice Louis), e giunge così a desiderare "nella monotonia di una vita che scorre noiosa, di fare una cosa qualsiasi, piuttosto che una vita priva di affetti". Quella stessa pulsione sadomasochistica che gli fa proiettare su Madeleine tutta una serie di colpe immaginarie, lo porterà a renderla responsabile dell'ultima, definitiva ragione del fallimento: Madeleine lo lascia non perché egli stesso l'ha voluto, ma perché ama "uno"...
Armand, lasciato da Jeanne, aveva anch'egli una "riserva di ricordi" che, accompagnandolo lungo la strada di sempre, verso il quartiere in cui aveva abitato povero e solo, lo restituiva a quello di "allora": e, come Louis, anche Armand era consapevole che gli innumerevoli "io" che compongono il nostro individuo muoiono ad uno ad uno, lasciandoci di essi solo il ricordo. Che questi stessi "io", e le monadi in cui sono racchiusi nel tempo, possono entrare in relazione con l'altro solo nello spazio di un incontro; che, di fisso, di immutabile, hanno solo il nome: "Nessuno dei due aveva detto una frase senza chiamare l'altro per nome. Nel momento della separazione, quei nomi assumevano un significato nuovo. Solo loro ci restavano, dell'essere che avevamo lasciato".
Louis cancella anche quest'ultima, confortante, possibilità: con l'"io" che si è stati si perde anche il ricordo di chi ci ha accompagnati: "Il tempo passa. E chi saprà che una volta lei ha lasciato una casa perché amava 'uno'? Nessuno, a parte me".

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Conosci l'autore

Emmanuel Bove

(Parigi 1898-1945) scrittore francese. Riscoperti dopo un lungo oblìo, che sigillò una vicenda biografica amara, i suoi romanzi e racconti (Padre e figlia, Un père et sa fille, 1928; L’amore di Pierre Neuhart, L’amour de Pierre Neuhart, 1928; La trappola, Le piège, 1945) tratteggiano personaggi alla deriva degli affetti e del destino con toni all’apparenza svagati e crepuscolari, in realtà di una tale lancinante nitidezza da indurre a considerarlo un precursore dell’esistenzialismo.

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