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Con la morte di Nicola Cipolla muore la sinistra. Vanno via via spegnendosi quelle reali forze comuniste (anche se lui preferiva definirsi un “socialcomunista”) che hanno dato il loro contributo instancabile, attivo e sincero alla nascita della democrazia in Italia. Muore con il senatore Cipolla, quello che ancora rimaneva in vita di una sinistra vera, di una sinistra capace di lottare contro i padroni e contro la mafia, di una sinistra anticapitalista e gravida di idee, capace di fare proposte e agire concretamente per assicurare pane, terra e lavoro, nel segno della giustizia e della solidarietà sociale, agli italiani usciti malconci dalla Seconda guerra mondiale. Muore con Cipolla uno dei protagonisti della politica comunista siciliana e nazionale. Il diario di Nicola Cipolla, lunghissimo, denso, e a volte difficile e noioso per la mole, non è un quaderno di ricordi, di rimpianti o di narcisismo politico: è un testamento e nello stesso tempo un programma politico per il futuro. Nelle quasi 500 pagine Cipolla racconta la sua lunga militanza politica a partire dal 1944, anno in cui si riorganizzano le attività politiche socialista e comunista, fino al 2013, in cui è da tempo conclusasi l’epopea del PCI e si presentano problemi vecchi e nuovi per la politica e soprattutto per la sinistra. Settant’anni di politica attiva e concreta raccontata con lucidità e coraggio. Ciò che emerge dalla lettura del libro è la perniciosa difficoltà di separare l’attività politica di Cipolla nelle istituzioni da quella sul territorio, da quella attiva e concreta al fianco dei braccianti, dei contadini, degli operai, degli studenti e dei movimenti ecologisti e No Global. Un collegamento che non è scontato oggi, in cui si misura sempre la distanza tra il palazzo e la gente, i lavoratori, i cassintegrati, i disoccupati.
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