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Si poteva fare un film a partire dal libro "Diario di un curato di campagna", di Bernanos? No, non si poteva ma Bresson lo ha realizzato comunque, un film bello, certamente non il migliore del grande regista francese. Qualcosa si è perso nel passaggio, anzi, più di qualcosa. Si è perso lo spessore umano del protagonista, si è perso l'ampio spettro di aggettivi che potrebbero qualificare ogni personaggio del "romanzo". Bresson è Bresson, la sua maestria è innegabile, la ieraticità che connota ogni suo film, il difficile lavoro di sottrazione sino a scarnificare il soggetto all'essenziale sono le cifre stilistiche del suo cinema quelle che hanno fatto di lui un punto di riferimento della settima arte. Tuttavia Bernanos con il suo capolavoro letterario datato 1936 ha creato un'opera irriducibile, un'opera che non si presta a trasposizione cinematografiche. Si tratta di un diario innanzitutto. Un diario fatto di angosce, speranze, dubbi, frustrazioni, di sentimenti che devono essere letti, sentiti, che conducono ad una totale immedesimazione con il protagonista. Nel cinema di Bresson, per contro, i sentimenti e soprattutto la tensione si concretizzano in rumori, in primi piani e dettagli, il dialogo lascia posto ad uno sguardo pietoso su un mondo a cui manca la grazia. Si più per certi versi affermare che con Bresson il pensiero non serve, volendo estremizzare. Diario di un curato di campagna è letteratura di un uomo solo, solo al mondo, solo nel silenzio di Dio.
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