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«È stupefacente che noi, che ci capiamo molto bene, da un certo punto in poi ci si capisca così poco - è stupefacente, considerando l'importanza delle cose su cui ci capiamo. Dove si separano le nostre strade?»
Nel suggestivo epistolario intrecciato, nel periodo del nazismo e della guerra, tra due dei massimi interpreti del pensiero filosofico echeggiano accordi e dissonanze sui grandi problemi della filosofia. Accomunati dall'origine ebraica - che li condanna all'esilio dalla Germania negli anni più bui di questo secolo - Karl Löwith e Leo Strauss ne vivono in maniera diversa il rapporto antinomico con le categorie storicistiche del nostro tempo. Se per Strauss esse sono il risultato di una tragica rottura con l'intera tradizione classica, sia greca sia ebraico-cristiana, per Löwith scaturiscono proprio dalla secolarizzazione della filosofia cristiana della storia. Ma forse il punto di maggiore divaricazione interpretativa si concentra sulla nozione che ambedue gli interlocutori oppongono all'ipertrofia della coscienza storica moderna, vale a dire quella di natura: da Strauss intesa soprattutto nel suo aspetto, razionale e normativo, di natura dell'uomo; da Löwith, al contrario, come ciò che eternamente ci trascende e ci domina. Di qui anche una differente modalità di accostarsi ai problemi della politica. Alla richiesta straussiana di un nuovo mito capace di accordare i cuori dissonanti della polis, risponde la netta curvatura «impolitica» del discorso di Löwith: se il nichilismo è il destino infrangibile del nostro tempo, non resta che prendere eroicamente atto del crepuscolo di tutte le fedi.Finemente ricostruiti dall'introduzione di Roberto Esposito, i dui itinerari intellettuali di Strauss e Löwith ritrovano, in queste lettere, la trama profonda che li lega alle questioni essenziali della nostra epoca.
Nel suggestivo epistolario intrecciato, nel periodo del nazismo e della guerra, tra due dei massimi interpreti del pensiero filosofico echeggiano accordi e dissonanze sui grandi problemi della filosofia. Accomunati dall'origine ebraica - che li condanna all'esilio dalla Germania negli anni più bui di questo secolo - Karl Löwith e Leo Strauss ne vivono in maniera diversa il rapporto antinomico con le categorie storicistiche del nostro tempo. Se per Strauss esse sono il risultato di una tragica rottura con l'intera tradizione classica, sia greca sia ebraico-cristiana, per Löwith scaturiscono proprio dalla secolarizzazione della filosofia cristiana della storia.
Ma forse il punto di maggiore divaricazione interpretativa si concentra sulla nozione che ambedue gli interlocutori oppongono all'ipertrofia della coscienza storica moderna, vale a dire quella di natura: da Strauss intesa soprattutto nel suo aspetto, razionale e normativo, di natura dell'uomo; da Löwith, al contrario, come ciò che eternamente ci trascende e ci domina. Di qui anche una differente modalità di accostarsi ai problemi della politica. Alla richiesta straussiana di un nuovo mito capace di accordare i cuori dissonanti della polis, risponde la netta curvatura «impolitica» del discorso di Löwith: se il nichilismo è il destino infrangibile del nostro tempo, non resta che prendere eroicamente atto del crepuscolo di tutte le fedi.
Finemente ricostruiti dall'introduzione di Roberto Esposito, i dui itinerari intellettuali di Strauss e Löwith ritrovano, in queste lettere, la trama profonda che li lega alle questioni essenziali della nostra epoca.
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