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Anno edizione: 2021
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Il lavoro, fondamentale ancoraggio alla vita reale, oggi è diventato una chimera per molti: giovani che non lo trovano, laureati costretti a emigrare, personale qualificato espulso dalla catena produttiva, donne che non riescono ad accedere a un impiego. E tra chi ha conquistato un suo ruolo nel sistema, quanti sono i privilegiati che possono dire di amare il proprio mestiere, e quanti invece lo reputano una condanna, conseguenza della maledizione divina lanciata contro Adamo nel giardino dell’Eden? Sarebbe necessario e doveroso sottrarsi all’alienazione del produrre fine a sé stesso, favorendo in primo luogo nei salariati “lo sviluppo dei propri talenti, la realizzazione della propria identità”, più che la sudditanza a un mezzo di sopravvivenza. Dobbiamo revisionare tutte le nostre categorie concettuali, nella vita economica, sociale e relazionale. I modelli economici tradizionali si dimostrano oggi carenti perché tentano di rintracciare una razionalità sequenziale che è ormai tramontata. Come trovare una sintonia tra lavoro e felicità? Paolo Iacci suggerisce di sperimentare nuove forme di organizzazione dell’attività lavorativa, non più basate sul paradig ma del comando/controllo, ma contraddistinte da maggior delega, più ampia autonomia delle perso ne e una superiore attenzione alla loro motivazione e individualità . La proposta di Umberto Galimberti appare addirittura più estrema: indica la necessità di passare gradatamente dal “lavoro come produzione” (che ha in vista solo la sua crescita esponenziale, senza ragione e senza perché) al “lavoro come servizio”, in grado di offrire non soltanto merci e beni, ma anche di erogare tempo, cura, relazione. Senza trascurare la parte irrazionale, istintiva, ludica, affettiva ed emozionale dell’essere umano, attraverso cui ci si possa avvicinare individualmente e collettivamente alla felicità.
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