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A breve distanza di tempo dalle edizioni di Sansoni, Einaudi e Mondadori, e quasi a conferma del rinnovato interesse per la figura e l'opera di Galileo, esce per la "Bur" il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, con introduzione e note a cura di Antonio Beltrán Marí, che insegna storia della scienza presso l'università di Barcellona ed è dei più riconosciuti esperti di Galileo in ambito mondiale (ha anche tradotto il Dialogo in spagnolo).
Molteplici le ragioni di interesse per questa edizione: uno sguardo nuovo, diverso, simpatetico ma all'occorrenza anche critico, su Galileo; uno straordinario apparato di note utili allo studioso così come a chi si accosti per la prima volta a quest'opera complessa - e anche godibilissima, basti pensare alla vivezza dei caratteri e del linguaggio dei tre interlocutori - che segna la nascita del pensiero scientifico moderno. Il lettore troverà spiegazioni di carattere scientifico che ben evidenziano la portata rivoluzionaria delle scoperte e delle idee di Galileo, ma anche le sue difficoltà e incertezze, e inoltre informazioni di carattere storico sui predecessori e contemporanei, sulle reazioni che la sua opera ha suscitato all'epoca e continua a suscitare, con riferimenti continui ai risultati raggiunti dalla critica galileiana più recente e accreditata.
Di particolare interesse l'ampio saggio introduttivo, suddiviso in brevi capitoli, nei quali Beltrán descrive l'evoluzione del pensiero di Galileo come si manifesta nel Dialogo, e ne evidenzia i punti salienti e/o problematici (discussi in dettaglio nelle note). Il Dialogo è per Beltrán come un'opera in stile rossiniano, dove tuttavia al crescendo delle prime tre giornate segue un finale malriuscito: l'errata teoria del flusso e riflusso del mare, che dovrebbe costituire la prova principe della bontà del sistema copernicano. Eppure, egli scrive, è proprio grazie a limitazioni come questa, che il Dialogo appare come "un'opera viva che dà modo, non solo di conoscere le conclusioni del pensiero di Galileo, ma anche di penetrare nella sua gestazione e nella sua genesi. Esso ci permette di intravedere più in profondità il dialogo tra la scienza tradizionale e la nuova scienza di cui fu protagonista l'evoluzione di Galileo, e di cui il Dialogo è solo il precipitato, dopo i compromessi con se stesso e con quanto lo circondava (...) esso ci permette di gettare uno sguardo nella parte occulta della Rivoluzione scientifica".
Beltrán, infine, non fa la storia delle condanne di Galileo da parte dell'Inquisizione, ma ne individua le cause. Tra le prime l'affermazione, ribadita nel Concilio di Trento, di quel principio di autorità della Chiesa nell'interpretazione delle Scritture che si sarebbe presto dilatato ben al di là delle materie di fede e di morale; poi l'obbligo disciplinare per i Gesuiti all'obbedienza, a custodire cioè i valori essenziali dello spirito tridentino, e a rispettare, anche nella filosofia naturale, la parola di Aristotele e Tommaso (decretato, pure il primo, dottore della Chiesa nel 1567). È evidente, afferma Beltrán, che Galileo, nonostante i suoi molteplici tentativi di convincere la Chiesa che non le conveniva assumere posizioni che in seguito avrebbero potuto mostrarsi sbagliate (monito quanto mai attuale!), "non possedeva le chiavi necessarie per poter agire opportunamente. Non riuscì mai a pensare se non in termini di razionalità scientifica". Le conseguenze sono fin troppo note: processo, condanna, abiura, confino ad Arcetri (il permesso di risiedere a Firenze, più volte sollecitato per gravi motivi di salute, gli fu sempre negato da Urbano VIII, il quale si oppose anche a che i Medici gli erigessero un mausoleo in Santa Croce; quanto alla teoria copernicana, l'autorizzazione a insegnarla sarebbe arrivata solo nel 1822).
Le pagine finali del saggio, La verità che brucia, riguardano la cosiddetta riabilitazione di Galileo, della quale Beltrán si mostra fortemente critico. Già i termini usati da Giovanni Paolo II nel 1979 nel suo discorso di lancio di quella che viene qui definita "un'operazione mediatica" ("onorevole soluzione", "composizione onesta e leale dei vecchi contrasti") sembrano preannunciare quale sarebbe stato il risultato dell'indagine. Così come non lasciava ben sperare il fatto che le nuove ricerche venissero affidate alla sola Pontificia accademia delle scienze, tralasciando tutte le acquisizioni dei più accreditati studiosi galileiani; che lo specialista più noto facente parte della commissione pontificia fosse il padre Wallace, secondo il quale fu "la personalità di Galileo, per tacere del suo orgoglio e della sua arroganza" ciò che contribuì alla sua condanna; che la commissione non abbia prodotto alcun articolo sui giudici di Galileo e anzi che in essa ci fosse chi sosteneva "l'avvedutezza di difendere il geocentrismo, come appunto fecero i giudici"; e così via.
Nessuna meraviglia, quindi, che assai deludenti siano stati i risultati della commissione e poco convincenti le parole rivolte da Giovanni Paolo II alla Pontificia accademia delle scienze nel 1992 a conclusione dei lavori: "Le chiarificazioni apportate dai recenti studi storici ci permettono di affermare che tale doloroso malinteso appartiene ormai al passato". Commenta Beltrán: "La serietà intellettuale di questa operazione è così scarsa che ci porterebbe sul terreno morale, in cui non entreremo". Se le opinioni di Beltrán colpiscono per la particolare franchezza con cui sono espresse, è indubbio che la sua insoddisfazione sia largamente condivisa tra gli studiosi, anche di matrice cattolica (in proposito si veda il bel libro di Annibale Fantoli, Il caso Galileo. Dalla condanna alla "riabilitazione". Una questione chiusa?, Rizzoli, 2003), e che l'"operazione mediatica" abbia sortito in molti casi risultati opposti a quelli sperati.
Un'ultima osservazione, a proposito della franchezza. A chi leggesse il testo originale di Beltrán in spagnolo, potrebbe non sfuggire che alcune singole espressioni appaiono mitigate nella versione italiana. Un caso? Oppure convenienza, o prudenza, o che altro? È innegabile che, sotto il nostro cielo, per inveterata tradizione i laici adottano spesso diplomazia e linguaggio "gesuitici" nell'affrontare temi nei dintorni della Chiesa, quando non arrivano a scusarsi delle proprie posizioni; e che ci si aspetta da loro che porgano l'altra guancia (sindrome di Galileo?). Per cui certe affermazioni di Beltrán, sebbene sempre argomentate, possono sorprendere per la mancanza di complessi con cui sono esposte. Esse ci indicano, tuttavia, una strada che varrebbe la pena di seguire, quando, per restare in argomento, ci si imbatte in libri parrocchiali e mistificanti quali Galileo, divin uomo di Antonino Zichichi, oppure Galileo in Rome. The rise and fall of a troublesome genius di Artigas e Shea (rispettabile studioso galileiano, quest'ultimo, che tuttavia sembra aver qui abdicato - influssi dell'Opus Dei? - a quei principi di obiettività e di serietà professionale cui si era precedentemente attenuto).
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