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Se tutto, o quasi, è stato investigato del Leopardi “maggiore”, pure restano ancora zone liminari da esplorare, certo minori, ma ugualmente importanti per il contributo che possono recare alla migliore conoscenza dell’uomo e del letterato. È il caso di questo Dialogo filosofico scritto da un Leopardi appena quattordicenne (siamo nel 1812) per confutare un moderno libro intitolato “Analisi delle idèe ad uso della gioventù”, opera del barnabita recanatese Mariano Gigli. Qui il giovanissimo autore dispiega una cultura di sorprendente respiro per controbattere l’assunto del Gigli (il libero arbitrio non esiste) e dimostrarne l’infondatezza. Svolta in forma di dialogo tra un «Letterato» e un «Giovane gentiluomo», la trattazione appare tanto gradevole, quanto solida concettualmente: l’Autore costruisce infatti una fitta rete di riferimenti dotti (dalla Bibbia ad autori classici e a lui contemporanei), con la quale sostenere le proprie argomentazioni, riferimenti in buona parte consegnati a un nutrito manipolo di Note. Inspiegabilmente ignorate da tutte le precedenti edizioni del Dialogo, queste Note – ora per la prima volta a stampa – si rivelano invece di grande importanza, in quanto permettono di circoscrivere in maniera più netta l’area (d’ispirazione apologetico-cattolica) della prima formazione leopardiana. L’operetta, recuperata nella sua integrità, getta una nuova luce sugli “anni di apprendistato” di Leopardi e ne individua meglio le coordinate, anche in rapporto ai successivi sviluppi del suo pensiero.
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