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Anno edizione: 2004
Anno edizione: 2013
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Un solo aggettivo per descrivere questo libro: arido. Questo basterebbe, ma se vogliamo essere meno "superficiali", l'eccessiva concettosità e astrazione, l'esagerata difficoltà e lunghezza impedisce di fruire dell'opera appieno. Alcune parti sono molto interessanti, ma tutto è filtrato attraverso due filosofi: Hegel e Marx. Ogni argomento di critica, attraverso lo spirito assoluto e i rapporti di produzione. Ciò appare quantomeno riduttivo. La critica alla dialettica finisce per riproporre lo stesso principio condannato. Combattere la tecnica con la tecnica non sembra funzionare. Hegel finisce per essere perfezionato. Inoltre alcune critiche all'intuizione di Bergson e Kant non mi sono sembrate giuste, seguendo la mia esperienza di vita. Da un punto di vista psicologico, Adorno con il passare del tempo è peggiorato, diventando troppo rancoroso e inquisitorio nella critica, finendo nell'assolutismo del "bianco o nero." Basta vedere cosa scrive del relativismo e dello scetticismo, che seppur criticabili per molti aspetti, di sicuro non vanno gettati nel cestino dell'immondizia in toto. Per adesso lo abbandonerò, cercando qualcosa di più vitale.
Adorno critica la metafisica tradizionale basata sul dualismo tra eternità e temporalità, necessario e contingente, mentre la mediazione dialettica hegeliana, per quanto fluidifichi concetti nellala negazione determinata, svilisce questa risolvendo la non identità del temporale e del contingente nell’identità positiva dell’assoluto: il finito è annientato e sublimato nello spirito facendo di nuovo riemergere il dualismo contro il quale Hegel si era battuto, con l’aggravante che il finito e il contingente finiscono per essere un momento negativo dell’infinito che si chiude positivamente su se stesso. Come l'Essere di Heidegger. La Shoah ha precluso la metafisica dell'essenza confermando che la pura identità del dominio è la morte, l’annientamento del non identico. Un pensiero che voglia ancora tentare l’esperienza metafisica deve misurarsi con la non identità, con l’estremo, rivolgendo la sua critica innanzitutto contro se stesso esponendo non i successi ma i fallimenti della metafisica, che con l’autoreferenzialità dello spirito e del concetto contro la carne (riflesso della logica del dominio) ha portato alla logica indicibile della barbarie nel mezzo di una elevata cultura. In questo senso la dialettica deve diventare decisamente materialistica. La stessa etica formale di Kant finisce per avvitarsi su se stessa senza la materialità del corpo vivente. La possibilità dell’esperienza metafisica deve dunque avvalersi innanzitutto della dialettica negativa nel rapporto tra soggetto e oggetto, nel senso che il soggetto è mediato dall’oggetto e viceversa, in una interdipendenza in cui la distinzione tra universale e particolare, e il loro rapporto, non siano a favore dell’universale (da Platone a Hegel). In secondo luogo la dialettica negativa deve procedere in mondo che l'identità del pensiero si risolva nella propria interna non identità affinché affiori l'Altro dal pensiero, aconcettuale, un frammento dell'Aperto. Da qui al pensiero della differenza, il passo è breve.
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