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Dettato - Sergio Peter - copertina

Descrizione


Come si gioca a nascondino da soli? Un bambino ricerca un riparo dalla morte del padre e trova nell'aria le voci dei matti, degli animali, dei vecchi e delle donne che popolano i luoghi marginali di una sperduta valle di montagna. Riti collettivi di addio all'inverno, campane ferme, racconti orali, cadute, incantamenti e ossessioni animano il romanzo d'esordio di Sergio Peter che, ispirandosi alla lezione del Celati di "Narratori delle pianure" e del Calvino delle "Città invisibili", dà vita a un ritorno a casa che è anche viaggio iniziatico nei territori della memoria.
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Dettagli

2014
15 maggio 2014
110 p., Brossura
9788867901036

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valentina
Recensioni: 5/5

Nel romanzo lo scrittore descrive la sua infanzia in questo paesino del Lago di Como, anche con parole del dialetto locale, descrivendo nel dettaglio il paese e le persone che vivono e che animano questo allegro paesello. Alcuni racconti mi hanno anche commosso.

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baruffi
Recensioni: 4/5

secondo libro della collana diretta dallo scrittore fiorentino Vanni Santoni, romanzo meno immediato dell'altro "Stalin e Bianca" ma forse più profondo, con delle atmosfere che ricordano a tratti una specie di Sebald campagnolo. promettente.

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Voce della critica

    Ci sono scrittori che amano tenere i piedi ben saldi dentro la storia e quelli, al contrario, per i quali ogni racconto, ogni narrazione, non può prescindere da precise coordinate spaziali, da una salda geografia di riferimento a partire dalla quale edificare il castello della memoria; ci sono storie verticali e storie orizzontali, come ricorda in un capitoletto del suo recente Atlante immaginario (Marsilio, 2014) Giuseppe Lupo, fedele al pensare il romanzo sempre e comunque come "ideazione di uno spazio da abitare". Peter, con questo suo esordio, si rivela pienamente autore dello "stato in luogo", narratore orizzontale; però in grado di tradurre il dato di superficie in epica del quotidiano (da rintracciare nel paesaggio, negli uomini, nelle cose). Non stupisce pertanto trovare nel risvolto di copertina il rimando alla lezione del Citati dei Narratori delle pianure e al Calvino delle Città invisibili (anche se, come vedremo, la parentela con quest'ultimo è qui da ricercare più nel lavoro di sottrazione). Così come un'ulteriore spia del rifarsi a una particolare idea della letteratura la ritroviamo nella citazione walseriana posta in apertura di libro e tratta da I fratelli Tanner ("In mezzo a pascoli / che erano più vicini al cielo / di qualsiasi civiltà umana"). Non c'è una trama vera e propria riassumibile, uno sviluppo narrativo lineare, essendo il libro costruito per accumulo, per quadri, retabli memoriali, finendo per somigliare, più che a un romanzo tradizionalmente inteso, a un repertorio. Io narrante un bambino, rimasto prestissimo orfano di padre, che si aggira nel familiare microcosmo di una sperduta valle di montagna della quale si fa cantore e ventriloquo. Inutile dire che la materia maneggiata da Sergio Peter è fortemente autobiografica. È la voce di un "superstite" quella che si offre al lettore: scampato al trauma della morte del padre – muratore e campanaro a Cardano, prematuramente involato, lui ancora bambino, nel 1988, e che di secondo nome faceva Angelo ("per me che non l'avevo mai visto, era proprio giusto") –, Sergio, nel salvare se stesso, si erge a inconsapevole aedo-custode di un mondo fragile, animato da un'umanità (di matti, di animali, di vecchi e di donne) che sembra corrispondere, in maniera quasi simbiotica, alla dimensione fisica di quei luoghi. Cosicché l'autobiografia del personaggio si allarga a inequivocabile stenografia di una realtà corale (quella valligiana, appunto, inscritta nel dna della genìa dei Peter di Cardano). Finisce per somigliare a un breviario di antropologia minima che ingloba un sentimento onnicomprensivo della natura, lievito primo di una memoria da salvare; e dove anche gli animali hanno qualcosa da insegnare all'uomo, come nel Topo sognatore Arminio ("da loro impara la permanenza nel luogo, non c'è da fuggire, questa è la fine delle tue parole"). La vera forza dell'esordio di Peter risiede nell'aver voluto lavorare la pagina (calvinianamente, si diceva) per sottrazione, assestandola su una prosodia tutta interna, una cantabile educata musicalità che insegue l'utopia di mettere su carta, con precisione millimetrica, la "prosa della vita" (e qui mi domando perché lo scrittore non abbia optato per la soluzione ibrida, ma di ampia e consolidata tradizione, della poesia narrativa). E possiamo leggere l'intermezzo premesso alle "lettere di gente comune", condensati incunaboli di esistenze (bellissime in tal senso le lettere dei figli Berto e Salvo ai genitori) inseriti verso la fine del libro, a mo' di conclusiva avvertenza, finale quadratura su come dovrà leggersi questo "dettato": "c'è una musica, delle volte, negli elenchi di cose che si fanno tutti i giorni e sono sempre le stesse, c'è come un ritornello (…) e io penso che queste siano cose da lasciar stare; come quelle frasi qualunque delle cartoline postali, dove tutto è racchiuso in poche righe". Ecco (entro una dimensione memoriale che è tutt'uno con la geografia infinitesimale di quel mondo, e che, per il fatto stesso di essere rievocata, si ammanta di un alone quasi mitico), il "passatore" Sergio Peter si fa carico di mettere in salvo (oltre i confini dell'oblio) quei "suoni chiusi", le sillabe di un "elenco cantilenato" che nomina persone, cose, posti prima d'allora sconosciuti; e dove perfino i prati "hanno una durata che coincide con la loro declamazione" (come ha appreso dall'apicoltore e cantante Ermanno). Come a dire che è dalla possibilità di nominare lo spazio che nasce la durata, che il tempo è (schellinghianamente) figlio dello spazio (e non viceversa), che la grana della memoria sta nel nominare. Questa l'intuizione felicemente controtendenza che alimenta il cristallino esordio di Peter, peraltro declinata inseguendo il sogno di una scrittura come fatto naturale. Volendo tornare al Walser citato in esergo, Dettato (del resto è già il titolo a suggerire una simile impressione) è romanzo che presenta la qualità speciale che fu pure dei Fratelli Tanner di Walser, almeno a sentire le parole del poeta Morgenstern: "Questo romanzo ha qualcosa di sonnambolico, come, per così dire, si fosse scritto da sé".     Domenico Calcaterra    

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