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Anno edizione: 2003
Indice
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La prima parte del libro (circa 150 pagine) e il finale (circa 70 pagine) sono costruite su un ritmo, una voce e uno stile dettati dal narratore della storia. Nel mezzo, centinaia di pagine che deviano da quel ritmo, voce e stile. Pagine fatte di tante voci differenti che, se si ha la pazienza di ascoltarle, possono trascinare in una poetica danza sudamericana.
Semplicemente incredibile, un libro che apre finestre, porte e strade. In questo romanzo vengono delineate le utopie di un'intera generazione che credeva nella rivoluzione e nella letteratura. E'la storia di un gruppo di guerriglieri della parola che armati unicamente con il loro atteggiamento poetico volevano cambiare il mondo e invece hanno finito per disperdersi in esso. Un libro romantico e crudo allo stesso tempo, e posso affermare - senza essere blasfemo - che I detective selvaggi rappresenta per molti versi il Rayuela della fine del secolo. Ha un solo difetto: ti fa venire ancora più voglia di leggere senza sosta.
la conclusione del romanzo vale l'intera lettura: bolano è un maestro della finzione, dell'intreccio, del salto spazio temporale che la letteratura, la grande letteratura, esige dallo scrittore genuino. non è un affresco novecentesco, non è un pamphlet politico, non è una vicenda surreale, non è una road-book story, non è un poliziesco; è essenza letteraria che avvince il lettore a inseguire pagina dopo pagina le vicende di un gruppo di teorici della poesia realvisceralista fino al raggiungimento del loro vero scopo: il ritrovamento della fonte dell'ispirazione poetica. è un bel libro, leggetelo. alberto
Recensioni
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“La notte prima, quando eravamo rimasti in pochi, Ernesto San Epifanio aveva detto che esisteva una letteratura eterosessuale, una letteratura omosessuale e una letteratura bisessuale. I romanzi, in genere, erano eterosessuali, la poesia invece era assolutamente omosessuale, i racconti, deduco, erano bisessuali, anche se questo non lo disse. Nell’immenso oceano della poesia distingueva varie correnti: finocchioni, finocchie, finocchietti, pazze, busoni, velate, ninfi e fileni”.
Erano veramente storie selvagge, le sue, irriducibili ad ogni categorizzazione, indisciplinate e caotiche: ma i suoi sberleffi lasciavano il segno come frustate. Il cinquantenne scrittore cileno Roberto Bolaño è morto a luglio in Spagna (per un’insufficienza epatica per la quale era in attesa di trapianto), poco dopo l’uscita in Italia del suo romanzo I detective selvaggi e poco prima di pubblicare il suo nuovo libro, un romanzo di fantapolitica intitolato “2666”. Il primo incontro del nostro pubblico con lo stravagante Bolaño è stato nel 1998 con La letteratura nazista in America in cui, nascondendosi sotto il titolo saggistico, lo scrittore cileno già dava una brillante prova del suo talento ironico e anarchico, tracciando un affresco virtuale animato da vite immaginarie. Anche in I detective selvaggi, le labirintiche peripezie di un gruppo di giovani poeti messicani che si definiscono “realisti viscerali” e sono dediti più che altro a strampalati eccessi sessuali, alcolici e quant’altro, è un pretesto per descrivere, attraverso il caleidoscopio di una fantasia sfrenata e zampillante, l’impossibilità di sopravvivenza degli ideali giovanili in un mondo dagli orizzonti sempre più angusti e sordidi.
Romanzo fluviale e corale, è assemblato in tre parti: quella di mezzo si svolge molti anni dopo le altre due, e fornisce chiavi di lettura sempre diverse attorno ai due protagonisti, Arturo Belano (alter ego dell’autore) e Ulises Lima, a seconda delle versioni fornite da schegge di conversazioni carpite senza un ordine apparente tra amici e conoscenti dei due, partiti forse sulle tracce di una poetessa ignota di cui il loro gruppo si ritiene seguace. Sono diversi gli ambienti ricostruiti da Bolaño in questa trasversalissima odissea, ma sembra evidente che oggetto dei suoi strali sono soprattutto quegli intellettuali che patteggiano con il potere e cercano il successo appiattendo ogni valore artistico e umano.
A cura di Wuz.it
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