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scheda di Nicola, M. L'Indice del 1999, n. 12
Ci si pone innanzi tutto una domanda: basta il titolo, bello ed evocativo, a fare di un romanzo un thriller? Forse sì, perché riga dopo riga, pagina dopo pagina, nel meticoloso racconto di questa storia di ordinaria abiezione tutto sembra cadere per un attimo entro il cono di luce di certe attese. Un delitto in un cinema, un delitto al cinema, un'accoppiata sempre suggestiva per gli amanti del noir. Vale la pena ricordare il cinema quasi stregato di Beltenebros di Antonio Muñoz Molina (Einaudi, 1992) soltanto per rimanere in ambito spagnolo. La prima pagina tuffa immediatamente in un cinema, a spettacolo cominciato, e da quella primissima pagina in poi, con rara unità di luogo e di azione, da quel cinema non ci si allontanerà quasi più. E ogni cosa, ogni frase, potrebbe essere il segno che prefigura il delitto. La narratrice, un'ennesima reincarnazione della prostituta aspirante redenta, racconta, da un luogo e da un tempo misterioso, quella sera di pioggia, in un cinema, quella maschera impicciona, la pila a cercarle le tette. E di qui inizia la tetra cascata di sordidezze, scortesie, poco convinti trasporti, sconcezze un po' penose che fanno della vita dei due amanti (e si fa fatica a chiamarli amanti) il sodalizio fra due mostri sventurati. Una storia d'amore in desolata assenza d'amore, una fiaba al contrario destinata a finire malissimo, un malessere quotidiano fatto di gesti senza importanza. Il lettore di Tomeo ritroverà nel chiuso di questo appartamento sopra il cinema, dove si odono le voci del cinema, qualcosa dell'appartamento fortezza di Amato mostro (Einaudi, 1998) e I nemici (Bollati Boringhieri, 1992). E proprio nell'arrabattarsi casalingo, fra piatti sporchi e porte sbattute, sembra in ogni momento di cogliere un possibile aleggiar di mistero. E quando il delitto ci sarà, e una cosa simile aveva ottenuto Ruth Rendell con la sua Eunice di La morte non sa leggere (Mondadori, 19952), ci sembrerà la cosa più naturale del mondo. Ancora una volta il mostro è un "amato mostro". Qui però il gioco di Tomeo, scrittore forse esile, ma senz'altro calibrato, è fortemente imperniato sul linguaggio. Un parlato certamente un po' greve, ma anche molto letterario, equilibrato e tecnicamente sottile. Purtroppo al lettore italiano il tessuto linguistico di Tomeo giunge un poco offuscato, stridente, allentato. Purtroppo è più facile tradurre una "bella scrittura" nel senso classico del termine, che seguire gli ammicchi di uno scrittore elegante che gioca col linguaggio popolare.
(M.N.)
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