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Anno edizione: 2019
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Il premio internazionale per bambini prodigio è alle porte e un delitto sconcerta il Conservatorio di Milano. Il commissario Calì scopre un mondo di infanzie senza giochi, sadismo didattico e follia genitoriale. La chiave del mistero è scritta sulla pelle, la pelle più nascosta di una pericolosa donna asiatica.
Era entrata con calma sulle assi del palcoscenico. Il collant color carne spuntava da scarpe altissime. Le zeppe trasparenti erano piene di fiorellini immersi in un liquido rosa. Servivano anche ad arrivare ai pedali dello Steinway & Sons gran coda. L’età era ben nota in sala: otto anni e mezzo.
Un celebre maestro di pianoforte, specializzato in bambini prodigio, viene trovato morto nel suo studio; esecutore materiale, un black mamba. Stanno per cominciare le eliminatorie della Piano World Cup – Prodigy Child al Conservatorio di Milano, e il commissario Calì interroga sponsor, aspiranti giurati e genitori ambiziosi giunti da tutto il mondo per esibire i loro piccoli geni. Conquista a colpi di gelato Ming-li, la simpatica pianista bambina favorita al Concorso, scherza con Marisol, la colf peruviana a cui il grande maestro ucciso affidava la sua casa e il suo denaro, e tiene a bada la seducente maestra Stragiotti, abituata a farsi strada con doti diverse da quelle strettamente musicali. Pur sullo sfondo di musiche grandiose, Calì osserva un intrico di meschinità molto terrene, e nel dubbio applica entrambe le regole d’oro: "Cherchez la femme" e "Segui il denaro".
Un’aria iniziale e, poi, trenta capitoli, anzi, per essere più precisi, trenta variazioni e, alla fine, di nuovo l’aria: lo so che state pensando a Giovanni Sebastiano da Eisenach (Turingia), ad un’insonnia assai improbabile e ad un genio (quello sì, vero) che per tutta la vita si ostinò a suonare il piano come nessun altro avrebbe più saputo fare, seduto sulla stessa sedia di legno realizzata dal padre.
Tutto assolutamente esatto, per carità, se non fosse che due fuori programma, opportunamente assestati, ci dirottano, invece, verso un omicidio misterioso ed un’indagine complicata (anche se le Variazioni alle quali pensavate c’entrano; eccome, se c’entrano) e, dunque, verso Delitto al conservatorio (412 pagine, 18 euro) di Franco Pulcini (Marcos y Marcos), libro letto senza fretta, così come faccio sempre quando mi rendo conto di avere davanti un testo al tempo stesso divertente e stimolante.
Vari sono, a mio parere, i motivi che mi spingono a consigliarvi questo romanzo di Pulcini. Innanzitutto, perché ha il pregio di risparmiarci l’estenuante ricerca del materiale esecutore dell’omicidio; che qui è ben individuato sin dalle prime pagine della storia, in uno dei due fuori programma, appunto.
Killer infallibile che, chiarisco subito, non è, per sua natura, in grado di fornire agli investigatori utili informazioni o indizi, tant’è che completata la sua opera, si dà quatto quatto alla macchia, senza arrecare ulteriore disturbo, né dare alcun concreto apporto alle indagini. Così, anche i lunghi interrogatori e le immancabili reticenze ce le siamo risparmiate, con grande beneficio per l’economia del racconto.
Poi ci sono, ovviamente, le gesta di Calì, nome di battesimo Abdul, di professione commissario di Polizia. Che dopo Delitto alla Scala Pulcini torna a proporre, direi in tutto il suo stridente ed esilarante splendore di investigatore siciliano di origini maghrebine che lavora a Milano, felicemente sposato con «una moglie deliziosa ed intelligente che aveva conosciuto al Teatro alla Scala, dove lei lavorava» e altresì detestato con metronomica pervicacia da una suocera, degna esponente dell’ala più oltranzista dell’upper class metropolitana, che gli parla poco «tanto per non correre il rischio di trovare motivi d’apprezzamento».
Oltre che raffinato investigatore, Calì è impermeabile ad ogni forma di elitarismo, né può accettare che un gruppo più o meno numeroso di persone possa, sol perché coltiva arti raffinate e colte, pretendere di avere un posto di riguardo, oltre che qui, anche nell’eternità.
Questo gli consente di passare praticamente indenne dalle forche caudine della derisione (però, anche tu, Abdul, che non ti ricordi nemmeno chi sia von Karajan!) e dalle insidiose gole di una corte spietata, sì da potere aprire con il suo distaccato sarcasmo usato a mo’ di apriscatole, un vero e proprio vaso di Pandora.
Per farlo, il Nostro si muoverà in questo nuovo episodio, con circospezione ed impegno, come in un pianeta del tutto parallelo alla vita reale, popolato da bambini prodigio che hanno come unico scopo quello di far diventare famosi soprattutto i genitori, mentre intrighi più o meno internazionali e tante «meschinità molto terrene» muoveranno personaggi spregiudicati e senza scrupoli.
Il risultato? Uno squallore, quello sì, immenso, messo lì a fare da contraltare alla purezza della musica ed alla grandezza di Bach, del suo diplomatico (forse) insonne e, perché no, del grande pianista canadese.
Da loro mi sono rifugiato al termine della lettura, sfruttando l’abbrivio generosamente offerto da Pulcini e, dunque, un’aria iniziale e poi, trenta variazioni e, alla fine, di nuovo l’aria. Senza altri fuori programma, anche perché, a differenza dell’autore, non so realizzarne.
Recensione di Camillo Scaduto
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